A chi scrive «ho una epifania terribile» - epifania nel senso di apparizione, non di Befana, - non bisognerebbe dar retta. Però della sua epifania terribile Chiara Valerio ha scritto sull’Unità e l’Unità è la Pravda della sinistra-sinistra, rocciosa, determinata. Non di quei farfalloni dei «sinceri democratici» lettori della Repubblica. Tocca quindi tenerne conto (e riferirne) se si vuol stare al passo con le forze sane della nazione. Il titolo dell’intervento di Chiara Valerio - «Si sono appropriati del tricolore. Riprendiamocelo!» - dice già tutto. La giovane, avanti i giovani, scrittrice s’ebbe la sua epifania terribile quando sabato scorso s’imbatté nel corteo del Popolo della libertà vedendolo spumeggiare di bandiere tricolori. E lì, ci siamo, ecco l’epifania, «capisco l’errore e l’orrore. Gli abbiamo lasciato l’inno nazionale, la bandiera, l’orgoglio di appartenere a una Repubblica». Di questo fatto, Chiara Valerio «nun se capacita», come direbbero a Roma e infatti insiste: «Come abbiamo fatto a lasciare che la patria (minuscolo) e quindi la Repubblica (maiuscolo) e il Popolo (maiuscolo) diventassero appannaggio di un partito che si fregia di mandare a casa gli extracomunitari e quindi la conoscenza dell’altro?». Considerazione che meriterebbe una chiosa a parte per via di quel «la conoscenza dell’altro», concetto al quale si potrebbe rispondere, tagliando corto: «Già fatto, già conosciuto, l’altro. Meglio non insistere». Però ora ci preme il tricolore «trattato come un brand da diffondere», agitato «da persone che non hanno remore estetiche e quindi etiche (un’etica che sia estetica? Boh) come fosse loro». Nooo!, sembra sentir uscire dal generoso petto di Chiara Valerio: «Riprendiamoci la bandiera. Riprendiamocela, adesso». Ora, una come lei, che si dice «trafitta dalle considerazioni grammatiche», dovrebbe saper bene che riprendere - dal latino reprehendere, composto da re con valore iterativo e prehendere - significa «prendere di nuovo», significa «prendere indietro una cosa data o lasciata o deposta». Capisco l’età della Valerio, ma la direttrice dell’Unità Concita De Gregorio dovrebbe saper bene che il tricolore non fu mai preso dalla sinistra. Disprezzato, caso mai, esecrato, svilito, abominato. Ché, adesso e per voce d’una Vispa Teresa in preda a terribili epifanie vorrebbero dar a intendere il contrario? Che fu caro ai compagni? E che rivogliono indietro, perché è roba loro, quello che senza remore vuoi etiche vuoi estetiche Berlusconi - orrore! - impugnava a piazza San Giovanni?
Alla sinistra internazionalista - proletari di tutto il mondo unitevi - non solo il concetto di Patria ha sempre fatto schifo. Ma anche l’essere italiani. «È per me motivo di particolare orgoglio - dichiarò Palmiro Togliatti - aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più». Carta canta. In quanto al tricolore, ha sempre mandato in bestia la sinistra perché inteso come espressione di nazionalismo, essendo il nazionalismo robaccia fascista.
Senza sprecar tempo in citazioni e virgolettati vari, sul rapporto sinistra-bandiera nazionale è sufficiente ricordare un film del 1971, Nel nome del popolo italiano di Dino Risi. Alla stretta finale di una inchiesta, al giudice istruttore Mariano Bonifazi, rigorosamente di sinistra, viene anonimamente recapitata la prova dell’innocenza dell’inquisito Lorenzo Santenocito, facoltoso industriale di destra (e quindi fascista) che s’apprestava a far condannare senza se e senza ma. In un sussulto di amor proprio professionale, Bonifazi si reca a depositarla nel suo ufficio. Ma lungo il percorso vi rinuncia, gettando la prova (una videocassetta) nel bidone della spazzatura. Cosa gli aveva fatto cambiare idea? L’improvvisa esibizione alle finestre e ai balconi del tricolore, al gol di Boninsegna nella partita Italia-Germania del Mondiale. La cosa interessante è che quel film non subì censure dalla sinistra o critiche dalla magistratura militante. Perché l’una e l’altra consideravano del tutto giusto, «civile», reagire come aveva reagito il giudice Bonifazi alla provocazione, al rigurgito patriottardo. Giusto non darla vinta ai nemici del popolo che si riconoscono nel disgustoso simbolo della bandiera nazionale.
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