La sinistra lontana dalla realtà regala il popolo ai populisti

In declino non è il capitalismo ma il post-comunismo che resta il sistema di potere culturale più forte e censorio

La sinistra lontana dalla realtà regala il popolo ai populisti

D a quando la crisi economica, nel 2008, ha colpito gli Stati Uniti per contagiare il resto del mondo si sente parlare di declino del capitalismo. Tale declino sarebbe dovuto alle speculazioni di una finanza sempre più avida ma anche al corto circuito indotto dalla globalizzazione. I mercati si aprono ma le conseguenze non sono positive per tutti. L'Occidente si vede superare da nuove potenze in cui la forza lavoro ha un costo minore, anche perché spesso non gode di alcuna tutela. Conseguenze? Delocalizzazione e disoccupazione. Nel frattempo, le ondate migratorie minano lo Stato sociale, già elefantiaco, rischiando così di innescare una tragica guerra tra poveri. Secondo l'analisi corrente, la risposta a questo stato delle cose sarebbe la rinascita, in tutta Europa, ma anche negli Stati Uniti, di movimenti politici classificati impropriamente come populisti o genericamente come «di ultradestra». Questa analisi, che potete trovare tutti i giorni su tutti i quotidiani, diventa un po' meno convincente durante la lettura di Tramonti. Un mondo finisce e un altro non inizia (Giubilei Regnani) di Marcello Veneziani. L'autore non risparmia affatto critiche al liberismo e anche al liberalismo: viene da un'altra storia, da altre radici, conservatrici e reazionarie, che i liberali dovrebbero conoscere meglio. Veneziani però vede lucidamente gli effetti del tramonto della sinistra. Dopo la caduta del Muro, i post-comunisti hanno divorziato dal popolo per occuparsi dei problemi della borghesia metropolitana. Il menu della nuova sinistra offre piatti indigesti al popolo. Ingredienti principali non sono il desiderio di riscatto sociale e l'uguaglianza attraverso l'universalità delle norme ma il lessico ipocrita e le prescrizioni del politically correct, che vanno contro l'esperienza delle persone. Il post-comunismo è ossessionato dalle rivendicazioni delle minoranze e da un socialismo umanitario esteso all'intero pianeta. Si preoccupa della fame nel mondo ma non della fame a Canicattì. Il comunismo, privato delle sue idee forti (per quanto criminali), è rimasto in vita come sistema di potere culturale e occhiuto sistema di sorveglianza atto a punire (cioè delegittimare ed escludere) chiunque sottolinei i limiti del politicamente corretto. I lavoratori, un tempo attratti dal marxismo e oggi rimasti senza rappresentanza, transitano dalla sinistra ai partiti «populisti» o alla Chiesa «populista» di Francesco.

Forse, ma queste sono mie considerazioni da lettore, più che il declino del capitalismo stiamo vivendo l'interminabile agonia della sinistra. Il centrodestra liberale avrebbe un terreno immenso da coltivare ma potrà farlo solo quando sarà riuscito a districarsi tra le contraddizioni della globalizzazione alle quali non è estraneo (sul tema, si veda Nicola Porro nel suo La disuguaglianza fa bene, La nave di Teseo). Nel libro di Veneziani comunque è affrontato anche questo tema. Non è che si debba essere sempre d'accordo con l'autore. Leggerlo però è fondamentale per far funzionare il cervello.

Il confronto dovrebbe essere il sale del dibattito. Ma il sistema di potere culturale a cui si accennava serve solo piatti insipidi. Non è un caso, come nota Veneziani, che l'offerta editoriale sia oggi più conformista rispetto agli anni delle ideologie.

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