Roma - Il dodecalogo prodiano non risolverebbe i problemi dell’Unione anche qualora in Senato si riuscissero a raggiungere i voti necessari a ribadire la fiducia all’esecutivo del Professore. I punti fondamentali sui quali si potrebbero riproporre le antiche spaccature sono due: i Dico, ossia la regolamentazione delle convivenze, e la realizzazione della Tav Torino-Lione. Si tratta di due materie rispetto alle quali la genericità del documento di Prodi potrebbe favorire un florilegio di interpretazioni antitetiche. Senza contare che laddove le argomentazioni sono più esplicite si rischia il conflitto di interessi con altre iniziative governative e parlamentari. Ma vediamo nell’ordine quali sono le criticità.
Dico no. Nel documento sottoscritto giovedì notte dai dodici leader dell’Unione non c’è nessun esplicito riferimento ai diritti e ai doveri delle convivenze stabili formalizzate dal disegno di legge Bindi-Pollastrini. Un passo necessario per allargare la maggioranza. Alle rimostranze del radicale Marco Pannella e del socialista Enrico Boselli è stato risposto che il ddl è stato già approvato dal Consiglio dei ministri ed ha iniziato il suo iter parlamentare. Presentato il 20 febbraio (Atto Senato 1339), è stato assegnato in sede referente alla commissione Giustizia il giorno successivo, lo stesso della crisi di governo. Se il tentativo di attrarre singoli esponenti centristi alla causa prodiana dovesse riuscire, il ddl si insabbierebbe definitivamente a Palazzo Madama considerata la già nota contrarietà del ministro della Giustizia, Clemente Mastella e degli altri senatori Udeur.
Hanno avuto buon gioco Antonio Leone (Fi) e Adolfo Urso (An) a dire che il programma prodiano è «già carta straccia» vista l’inconciliabilità tra allargamento centrista e unioni di fatto.
Pecoraro e la Tav. «Rapida attuazione del piano infrastrutturale e in particolare ai corridoi europei (compresa la Torino-Lione)». Così recitano le tavole dei comandamenti del Professore. A prima vista sembrerebbe una svolta decisionista verso la realizzazione di quelle infrastrutture finora tralasciate per non scontentare la sinistra radicale, in primis il collegamento tra il capoluogo piemontese e la Francia per non perdere i finanziamenti dell’Ue. Le cose stanno diversamente. Il ministro dell’Ambiente, il verde Alfonso Pecoraro Scanio, aveva premesso, già a Palazzo Chigi, che avrebbe voluto discutere le modalità. Ottenendo dal premier che il confronto con le comunità locali sarebbe stato portato avanti. Ma a una doppia verifica l’impianto non sembra reggere. Raggiunto dal Giornale del Piemonte, il presidente della Comunità montana della Bassa Val di Susa, Antonio Ferrentino, ha ribadito che «non cambia nulla» e la «Tav si farà sulla linea storica senza megatunnel» aggiungendo di averne avuto conferma dallo stesso Pecoraro Scanio. Non è una questione di lana caprina: potenziare la linea già esistente significherebbe la definitiva rinuncia alla Tav lasciando fuori l’Italia dalla direttrice Lisbona-Kiev. Ferrentino, infine, non riconosce la validità della Conferenza dei Servizi, l’organo che si dovrà pronunciare sulla materia dopo lo stralcio dalla legge Obiettivo. Il problema è tutt’altro che risolto come pure ha sottolineato il capogruppo della Lega al Senato, Roberto Calderoli. «È notte fonda», ha detto.
Altre divisioni. Attenendosi esclusivamente al nuovo programma prodiano e tralasciando la spina-Afghanistan, restano almeno due capitoli scottanti: le liberalizzazioni e la riforma previdenziale. Il decreto Bersani-bis dovrà essere convertito entro aprile e (revoche delle concessioni Tav a parte) pronto per l’Aula alla Camera dopo l’esame in commissione Attività produttive, ma per il disegno di legge abbinato appare difficile tracciare un percorso certo. Ammesso che la sinistra radicale lo appoggi, questa dovrà essere ricompensata in sede di trattazione del ddl Lanzillotta sui servizi pubblici locali dove al Senato ha già imposto uno stop alla privatizzazione del settore idrico.
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