Roma - «A questo punto tanto valeva fare un’assemblea di tutti i parlamentari». La battuta è scappata a Dario Franceschini e rende bene il contrasto tra l’idea di un vertice di maggioranza sulla legge più importante - la Finanziaria - e le circa sessanta sedie che erano state apparecchiate per l’occasione ieri sera a Palazzo Chigi. Posti necessari a rappresentare tutte le anime del centrosinistra così come si presenta a poco più di un anno dalla risicata vittoria elettorale. Segno di una difficoltà che il presidente del Consiglio Romano Prodi ha cercato di arginare subito, aprendo gli interventi con una raccomandazione: «Non è questa l’occasione per regolare i conti fra di noi. Questa è la Finanziaria della normalità». Appello non raccolto dalla sinistra radicale che ha subito messo i piedi nel piatto e rivendicato una radicale modifica della finanziaria che «va reimpostata completamente».
Il vertice era iniziato sotto i peggiori auspici. Funestato da una serie di rinunce, più o meno motivate, a partecipare alla riunione notturna da parte di esponenti del centrosinistra.
Nel gioco del chi c’è e chi non c’è, l’assenza che ha fatto più chiasso è stata quella del ministro della Giustizia Clemente Mastella. Prima ha fatto sapere che non sarebbe andato e che l’Udeur sarebbe stato rappresentato dai capigruppo a Camera e Senato Fabris e Barbato. Poi, più tardi, ha spiegato che avrebbe disertato l’appuntamento solo per «motivi di salute» e che se fosse stato presente, «avrebbe soltanto riconfermato la piena fiducia al presidente Prodi». Spiegazione ufficiale che contrasta con le parole pronunciate dallo stesso Fabris mentre entrava nella sede del governo: «Siamo qui per verificare se ci sono le condizioni per andare avanti con questa maggioranza».
Difficile quindi non vedere dietro la rinuncia i tanti malumori del Campanile, che si ritiene al centro di una campagna di linciaggio. E un risultato Mastella lo ha subito incassato, con la solidarietà che gli ha espresso Prodi al vertice.
Ma pesano anche questioni che investono tutti i partiti del centrosinistra. E i nodi ancora aperti della manovra. Nel merito basti citare la riduzione dell’Ici, le imposte sulle imprese e, soprattutto, la tassazione delle rendite finanziarie. Ma c’è anche il problema tutto politico della tempistica. E cioè di cosa farà il governo di centrosinistra dopo la Finanziaria. Sicuramente verrà affrontata la legge elettorale. E poi qualche cambiamento nella composizione del governo, anche se Prodi ha smentito di voler fare un vero e proprio rimpasto.
In bilico fino all’ultimo c’è stata anche la partecipazione di Antonio Di Pietro, il ministro alle Infrastrutture che ha chiesto con insistenza una cura dimagrante per il governo dei 100, che in questi giorni sta già incrociando la spada con l’esecutivo sul caso Visco. Una risposta a queste posizioni e anche all’emorragia di consensi provocata da Beppe Grillo dovrebbe essere il disegno di legge sui costi della politica del ministro al Programma Giulio Santagata che entrerà a pieno titolo nella manovra.
I ribelli ulivisti dell’Unione democratica di Willer Bordon hanno preferito disertare del tutto, optando per un più efficace faccia a faccia con il premier Romano Prodi che potrebbe tenersi già questa mattina. C’erano, invece, i rappresentanti della sinistra radicale. Divisi al loro interno su molte cose, ma non sulle critiche. Sulla Finanziaria serve «collegialità». E invece loro - ha lamentato il segretario del Prc franco Giordano - «la fanno come vogliono. Ma non staremo a guardare, abbiamo un terzo dei parlamentari». Difficoltà che non hanno trovato risposta.
Se il terreno di battaglia dei moderati dell’Unione è quello del piano casa e le misure per le imprese, per la sinistra radicale il tema portante rimane quello del protocollo sul welfare. Ma anche la tassazione delle rendite finanziarie che il presidente del Consiglio ha confermato di non voler alzare da subito.
Parole che hanno portato la sinistra radicale a un passo dalla rottura.Ma gli argomenti della manovra sono troppo specifici per essere affrontanti da un plenum come quello di ieri notte. Ma questo, c’è da scommetterci, non è stato un problema per Prodi. Anzi.
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