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La sinistra vuole altre tasse Il governo le liberalizzazioni

Mentre la sinistra vuole altre tasse, l'esecutivo pensa al mercato: un decreto entro il 20. Dite la vostra opinione. SONDAGGIO Sei d'accordo col governo? VOTA

La sinistra vuole altre tasse Il governo le liberalizzazioni

Roma - Ora la sinistra tira Monti per la giacchetta: più tasse. Ma il premier frena e con il suo ministro Piero Giarda accelera sulle libera­lizzazioni e sul taglio della spesa pubblica per contenere il debito. Terrorizzati dal preannunciato schiaffo sulla riforma del mercato del lavoro, nel Pd e dintorni, in ogni caso, si cerca di correre ai ri­pari. «Uè, ma siamo matti? Non siamo mica qui a trangugiare sol­tanto rabarbaro», è il pensiero di Bersani-stile-Crozza che nelle prossime ore avrà l’imbarazzo di mettere faccia e voti sui licenzia­menti facili. «Che c’azzecca il lavo­ro? », è il controgiudizio di Di Pie­tro, anch’egli arroccato sul «non si tocchino le tutele dei Cipputi».

Così, entrambi i leader della sini­stra, si sfogano sulle colonne de La Stampa proponendo le loro ri­cette: un po’ di tasse in più. Così, tanto per distogliere l’attenzione da quanto sta per accadere ai loro elettorati di riferimento. Il primo, Bersani, punta all’im­posta internazionale, ossia alla Tobin Tax, che dovrebbe colpire le transazioni finanziarie. Ha biso­gno di far vedere che dice e fa qual­cosa di sinistra, il capo del Pd: «Non possiamo mica mangiare pane e city - brontola Bersani che attacca Londra perché non ne vuol sapere di tassare le operazio­ni di borsa- Alla fine non ci sarà ne­anche il pane ed è ora che la finan­za paghi qualcosa di quel che ha provocato».Inoltre il leader piddi­no punta i paletti per il futuro e lan­cia un messaggio al premier: «Con l’anno che comincia biso­gna darsi un metodo nuovo». Che vuol dire «avere una sede tra go­verno e gruppi parlamentari che consenta di costruire l’agenda di lavoro e renderla effettiva». Più comoda la posizione dell’oppositore Di Pietro, in ogni ca­so sulle barricate di fronte alla bat­taglia della flessibilità nel merca­to del lavoro. «I licenziamenti faci­li non creano occupazione» è lo slogan dell’Italia dei valori. Il cui leader, sempre dalle colonne del quotidiano di Torino, scatena la propria furia contro il capitale. Che va tassato, sequestrato, scip­pato. Specie quello all’estero. «Chiediamo un aumento della so­­vrattassa sui capitali scudati dal vergognoso 1,5 per cento al 15 per cento. Così incasseremo almeno 10 miliardi di euro». Non solo: «Per chi non ha aderito allo scudo fiscale e quindi ha dei capitali al­l’estero, ne deve dimostrare la pro­venienza; altrimenti debbono es­sere sequestrati».

Poco più d’una sparata che non verrà accolta da Monti che, in ogni caso, tira dritto. Il premier, che sabato prossimo verrà ricevuto in Vaticano da Pa­pa Benedetto XVI, è concentrato sulle missioni internazionali ma accelera sul versante opposto a quanto sperato dagli ex compari di Vasto, Bersani & Di Pietro. Le tasse introdotte son fin troppe e l’economia sta soffocando. Me­gli­o concentrarsi sulle liberalizza­zioni e il taglio delle spese. Sulle li­beralizzazioni, ha assicurato il sot­tosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, il go­vern­o interverrà entro il 20 genna­io con un decreto legge che riguar­derà tutti i settori, anche l’acqua. Sul taglio delle spese è invece al la­voro il ministro dei Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, ex sotto­segretario al Tesoro dal ’95 al 2001, e super esperto di spesa pub­blica. È lui l’artefice, assieme al vi­ceministro dell’Economia Vitto­rio Grilli, della cosiddetta «spen­ding review»: la mappa di tutte le uscite dello Stato.

Dallo screening delle spese verranno tagliati rami secchi per un valore che va dai 5 ai 15 miliardi di euro. Non i famigera­ti tagli lineari di tremontiana me­mori­a che tanti mal di pancia han­no procurato ai ministri del prece­dente governo, ma operazioni chi­rurgiche per limitare il buco da cui escono troppe risorse pubbli­che. La speranza di Monti è sem­pre la stessa: cercare di evitare l’aumento dell’Iva tra sei mesi.

Na­turalmente spread permettendo.

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