SINISTRE SENSAZIONI

Gianpiero Fiorani è stato un banchiere cialtrone: gli elementi per questo giudizio sono ormai evidenti. La constatazione, però, non risolve tutti i problemi in ballo. Perché tante persone della cui onestà personale è difficile dubitare, a partire da Antonio Fazio, hanno dato fiducia al banchiere cialtrone? La sensazione che il nostro sistema bancario sia una foresta pietrificata in cui i rapporti di forza non sono risolti dalla concorrenza non pare così infondata. L'invidia persino per la Spagna dove almeno due grandi banche, Bilbao e Santander, competono senza consociativismi, non sembra senza senso. La preoccupazione non è che gli «stranieri» entrino nelle nostre banche, ma che s'inseriscano non competendo con altre offerte, infilandosi negli spiragli che un piccolo establishment gli apre, e diminuendo così il grado di competizione del sistema. Certo. Lo stile dirigistico-familistico di Fazio non ha fornito risposte credibili. Però le domande non sembrano scorrette. Chiedete a quelli di Unicredit se in Germania si sono comportati come Bilbao e AbnAmro a casa nostra, a partire dal concerto sul giorno della presentazione dell'opa.
Passando alle vicende giudiziarie. Il Giornale ha già criticato lo stile dei magistrati milanesi sul caso: i tintinnii di manette, le sentenze-proclama, le indiscrezioni contro «i nemici». Più in generale, è lecito chiedere e chiedersi: è lo scandalismo la via più opportuna per trattare questioni sensibili come la vita di una banca? Con i suoi effetti inevitabili nei confronti dei risparmiatori?
Dalla Banca privata di Michele Sindona all'Ambrosiano di Roberto Calvi, ci sono stati casi nella storia italiana in cui si rese necessario intervenire pesantemente. Ne ricordiamo però decine di altri (per citarne due: Banco di Napoli e Bipop) dove la situazione era più grave della Popolare di Lodi, eppure esigenze di discrezione a protezione dei risparmiatori guidarono l'opera di magistrati assennati.
Può darsi, ora, che l'opera di alcuni magistrati milanesi derivi solo dall'esasperato protagonismo che da tempo ha infettato fette di Tribunale sotto la Madonnina. In tutta la vicenda traspaiono, però, anche segnali di operazioni politiche a più ampio raggio a cui settori della magistratura hanno fornito prova di non restare indifferenti. Pare di leggere i riflessi di una guerra tra ambienti economico-politici tesi a definire gli equilibri di un governo di centrosinistra dato ormai per scontato. Da una parte, il piccolo establishment con la sua corazzata, il Corriere della Sera mielista; dall'altra, Romano Prodi con i suoi rapporti con banchieri amici, insidiosamente influenti anche nel Corriere; da un’altra ancora Massimo D'Alema, con la sua idea fissa di darsi una base economica indipendente dal piccolo establishment e dai poteri prodiani. Tre centri di potere, per di più troppo fragili per trovare un solo equilibrio. Le manovre in corso paiono mirate a far saltare la consistenza di uno dei tre centri. Almeno. Il piccolo establishment ha sospettato sia i banchieri amici di Prodi, sia D'Alema, di avere tenuto bordone alla scalata furbetta sul Corriere. Oggi il piccolo establishment marcia come una corazzata contro gli «amici di business» dei dalemiani tra gli applausi dei prodiani.

I legami tra giornali, sinistra e magistratura paiono offrire l'anima giudiziaria allo scontro in atto. In un Paese non pacificato, pieno di odio, con poteri disordinati e una politica debole, tutto marcia verso il peggio. Silvio Berlusconi dice che il voto serve proprio a bloccare questa deriva. Proprio torto forse non ha.

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