Vorrei farle una domanda prima di iniziare - esordisce così un uomo di circa 60 anni entrato nel mio confessionale - È necessario credere per confessarsi? Perché a dire la verità, io sono qui perché me l'ha detto mia moglie, che quella che si è confessata prima. Lei non si può immaginare altrimenti quanto mi avrebbe stressato. Se vuole possiamo fare anche solo due chiacchiere, per me è uguale». Il credo è proprio così fondamentale? Non parlo solo di una interiorità, spiritualità, religiosità personale e soggettiva, ma di quella lista di verità che alla domenica a messa viene ripetuta tutte le settimane come cantilena a memoria, purtroppo con poca attenzione. Quel credo è davvero significativo? È già tanto dire io credo, ma è proprio necessario dire che io credo in tutte quelle cose lì? Ma ci credo davvero? Ma so di cosa si tratta? Se ci si pensa bene forse è la parte della Messa detta a memoria con meno attenzione, biascicata per abitudine. C'è qualcuno che ci pensa a quello che dice? Qui entro io in Confessionale perché in questo peccato di pappagallismo del credo ci cado spesso. A questo riguardo ci provoca oggi il primo viaggio di Papa Leone che nei prossimi giorni, dal 27 novembre al 2 dicembre si recherà in Turchia e Libano. Il momento cruciale sarà nell'attuale Iznik (a 130 km da Istanbul) per la commemorazione dei 1700 anni del Concilio di Nicea. Fu il primo concilio della storia. Rinsaldò unità e comunione, risolse controversie teologiche, definì la data della Pasqua, aprì un dialogo di relazioni istituzionali con l'impero romano, ma soprattutto
consegnò come suo frutto il testo del credo, proprio quello che ancora oggi recitiamo. Una prima riflessione è sull'anniversario così importante: quasi due millenni. Ogni parola del credo che diciamo con superficialità scontata ha invece il peso di migliaia di donne e uomini che nei secoli sono morti pur di non inquinare la loro coerenza. Non è cosa del passato, ma è una questione quanto mai attuale. Ad esempio si calcola che in questi mesi del 2025, solo in Nigeria, siano stati uccisi 7.000 cristiani dai Jihadisti. È stato stimato per il 2024 che nel mondo oltre 380 milioni di cristiani hanno sperimentato alti livelli di persecuzione e discriminazione a motivo della loro fede, registrando un aumento rispetto agli ultimi 30 anni. Nella lista dei Paesi pericolosi al primo posto c'è la Corea del Nord, seguono Somalia, Yemen, Libia e Sudan. Una situazione drammatica si registra in Pakistan, Nigeria, Iran, Afghanistan, Myanmar. Nel 2024 il numero di chiese distrutte, attaccate, chiuse o confiscate è stato di 7.679. Insieme ai martiri antichi e moderni però c'è un'altra dimensione: non c'è solo la morte ma anche e soprattutto la vita. Ogni virgola del credo è carica della storia di milioni di persone ispirate da questa fede che si sono spese per migliorare il mondo sia in contesti di persecuzione, sia di indifferenza religiosa. Papa Leone XIV raccoglie l'eredità di Papa Francesco che aveva pensato e voluto questo viaggio: «un sogno» lo aveva definito. Realizza però anche il sogno del suo predecessore nel nome, Leone XIII, noto per l'enciclica
Rerum Novarum sulla questione operaia, all'origine della dottrina sociale della Chiesa, ma meno conosciuto per altri aspetti del suo pontificato altrettanto importanti e innovativi: l'apertura al mondo extraeuropeo, l'impegno per la pace, la ricerca dell'unità tra le Chiese cristiane. Le profonde e tumultuose trasformazioni politiche, economiche e socio-culturali prodotte dalle due Rivoluzioni (francese e industriale) che hanno segnato l'età contemporanea, insieme alla perdita nel 1870 dello Stato pontificio e del potere temporale in seguito alle vicende risorgimentali italiane spinsero la Santa Sede a ripensare la sua collocazione come «potenza morale», che non significava ingerenza politica ma neppure indifferenza alle sorti delle società e dei popoli. Quindi la scelta di Papa Prevost non è solo un gesto simbolico: è una dichiarazione di intenti. In un'epoca segnata da divisioni, sceglie di ripartire da quel «noi crediamo» che unì, almeno per un tempo, la cristianità intera. Se l'arrivo in Turchia a Nicea guarda alle radici, passare in Libano interpella il presente. La speranza per quanto audace è di un nuovo slancio verso l'unità.
Un Pontefice di nome e di fatto: «costruisce un ponte», fragile ma reale, tra occidente e oriente, tra cattolici e ortodossi, tra islam e cristianesimo, tra guerra e pace, tra distruzione e ricostruzione, tra storia e futuro.