Società

Femminicidi, ecco i dati del fenomeno in Italia

L’Italia con lo 0,32 di casi di femminicidi ogni 100 mila donne è ben al di sotto dello 0,43 della Francia, 0,53 della Germania, 0,6 dell’Austria

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Sono 39 le donne vittima di femminicidio in Italia nel 2023 secondo i dati del Viminale. Nel 2022 erano 57. Nel 2021 61, nel 2020 63, nel 2019 67, nel 2018 73. In precedenza sempre di più. Il dato è pressoché costante negli anni, ma la curva tende a scendere ininterrottamente. Segno, appunto, che non siamo di fronte a una emergenza. E non lo siamo neppure nei confronti del resto d’Europa, l’Italia con lo 0,32 di femminicidio ogni 100 mila donne è ben al di sotto dello 0,43 della Francia, 0,53 della Germania, 0,6 dell’Austria.

L'allarme vero, inutile dirlo, è nei paesi non occidentali, in particolare dove vige la Sharia.

Eppure la narrazione mediatica tende a trasformare ogni episodio di cronaca in emergenza sociale, penale, e persino politica.

La vicenda di Giulia Cecchettin, al pari delle altre 39 vittime, è terrificante. E non c’è bisogno ripetere qui che va condannata con tutte le forze, anche per evitare altri casi simili. E non è neanche una questione di numeri, perchè anche un solo episodio sarebbe gravissimo. Per la vittima, la sua famiglia, e tutta la società.

Ma ha ragione Nicola Porro quando dice che lo stesso giorno che è stato ritrovato il cadavere di Giulia, una dottoressa di 66 anni veniva uccisa vicino Reggio Calabria mentre con il marito, ferito, usciva dall’ospedale. Si chiama Francesca Romeo, ma nessuno ricorda il suo nome. Come se la sua morte fosse meno importante. O fosse meno degna di essere raccontata o condannata. Solo perchè non si tratta di un femminicidio? Eppure sicuramente è stato un uomo ad ammazzarla. Solo se il movente è a scopo “passionale” ci indigniamo?

Ad esempio solo in Calabria sono 4 i medici uccisi dall’inizio dell’anno, e tantissimi vengono aggrediti in tutta italia. Con numero in aumento. Una emergenza, di cui però si parla poco.

La giusta attenzione riservata al caso di Giulia, se lontana dalla morbosità e dal voyeurismo, o dallo sciacallaggio, è giusta per continuare a sensibilizzare sul tema. Ma non se diventa una scusa per accusare l’Italia di fenomeni per fortuna qui assenti, quali il patriarcato. Tantomeno per giustificare la cancel culture, come ad esempio ha fatto Cristiana Capotondi in queste ore, accusando la musica trap. O scaricandola sulla politica. O su tutti i maschi bianchi ed etero. La responsabilità è sempre individuale, e anzi generalizzarla solleva il colpevole.

Come pure in un Paese con altissima dispersione scolastica e bassi livelli di apprendimento, non sarà facile risolvere il problema con una nuova infornata di dipendenti pubblici per insegnare educazione sessuale nelle scuole.

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