Sogni d’acqua sul motoscafo con le ali

Tullio Abbate, un nome che evoca la «velocità liquida». Bolidi griffati per vip come Schumacher, Maradona, Prost e il principe Alberto di Monaco. In quel ramo del lago di Como, fra Clooney, Mussolini e Van De Sfroos, compie 35 anni un cantiere storico

Giorgio Gandola

nostro inviato a Mezzegra (Como)

Ogni giorno, verso sera, il silenzio da cartolina dello specchio d’acqua racchiuso fra la punta Balbianello e gli incanti di Bellagio è trapanato da un rombo di tuono: è Tullio Abbate che prova un motoscafo a forma di proiettile da cannone. Il lago è piatto, il sole è al tramonto. In un simile scenario (quel ramo del lago di Clooney) si celebra il rito pagano più atteso dai timpani degli abitanti di Lenno, Mezzegra, Tremezzo, Griante. Non esattamente una goduria, piuttosto uno sturm und drang da aperitivo al tramonto.
Nella Silicon valley della carena e della chiglia; a quattro curve da dove furono uccisi Benito Mussolini e Claretta Petacci; dove adesso vanno di moda le ballate dialettali e roche di Davide Van De Sfroos, quasi un secolo fa è nata la motonautica italiana. Qui papà Guido riuscì a elevare ad arte la febbre della velocità, a disegnare (per terra, col gesso) bolidi che avrebbero abbattuto record. Qui prese forma la leggenda del motoscafo di legno (anche il mitico Riva partì da Laglio per arrivare a Sarnico, altro lago, stessa pasta), rilanciata dai film di James Bond, oltraggiata dai parvenu e recentemente finita persino sulla copertina di un bestseller.
Infine qui Tullio Abbate, 61 anni, figlio di quel padre geniale fra i pionieri, continua a percorrere la strada tracciata sull’acqua dal destino. Invisibile ai più, chiarissima per lui, che contrasse la febbre della velocità da adolescente e oggi celebra i 35 anni del suo cantiere sedendosi sulla riva immobile a ricordare. «Avevo 14 anni quando entrai nel cantiere di papà. Lui era già un gigante, io pendevo dalle sue labbra. Era il periodo in cui lui montava su un motoscafo il motore dell’Alfa Romeo di Fangio e realizzava il bolide sul quale Mario Verga ha stabilito il record del mondo di velocità alla media di 226 kmh. Non so se mi spiego».
Tutto chiaro, e lo è ancora di più sfogliando l’album delle foto: il Guido che festeggia la vittoria in una Centomiglia del Lario col piccolo Tullio aggrappato al giubbotto. Il Guido che sorride in faccia al mondo con i tre figli (Tullio, Carlo e Bruno) che se lo coccolano pulcini. Storia d’ascia e di matita. Soprattutto storia di fosforo. «Papà mi manda in Francia a imparare la lingua, mi fa conoscere i grandi della F1 - Stewart, Clarke -, mi affida a Guidotti per farmi conoscere il mondo della velocità. Guidotti aveva la casa di vacanza qui di fronte, a Bellagio. Ed era quel signore che vinse una Millemiglia a fari spenti con Nuvolari».
Tullio Abbate comincia a correre. Ma non per partecipare, per vincere. «Fu durissima. In questi quattro chilometri di lago c’era il meglio della motonautica italiana: Abbate, Timossi, Cadenazzi, Molinari di Lezzeno, Colombo di Menaggio. Tutte persone che avevano lavorato col papà. Ma ero giovane, testardo. Sbirciavo dalla finestra il papà e i suoi collaboratori quando tenevano le sedute tecniche». Ride, perché quei brain storming per decidere la realizzazione di bolidi avveniristici avevano luogo nella piazzetta del paese. Gessi, righelli, piatti di pane e salame e quartini di vino.
«Avevo un sacco di idee in testa. E la voglia di fare la rivoluzione, quella vera, quella della tecnologia. Il futuro mi viene incontro: un giorno, a Parigi, vedo la Madonna. Si corre la Sei ore di Parigi e, in mezzo ai bolidi consueti, mi appare una piccolissima barca con la carena a «v». È brutta. Ma conta il materiale: vetroresina. M’innamoro e cominciano i problemi. Papà aborre la vetroresina, lui che costruisce Stradivari col timone non sopporta che il figlio lo tradisca così. Ma io non mi arrendo e in un garage - il cantiere mi era vietato - metto insieme il primo motoscafo tutto mio. Papà lo guarda, fa una smorfia e dice: è una cassetta dei garofani».
Il patriarca non cambierà mai idea, ma la cassetta dei garofani comincia a vincere. Nel 1964 Tullio Abbate rischia di arrivare primo nel campionato d’Europa con un motore 1300 contro i 5000 e gli 8000 dei big. Per forza, le loro barche pesavano 15 quintali, la sua 200 chili. Qualche anno ancora e il Tullio vince tutto: 300 gare. Campionati europei, prove mondiali, la Centomiglia del Lario («Quando era una classica, adesso è una corsa nei sacchi»). E vince anche nella vita: nel 1969 apre il suo primo cantiere, quasi di fronte a quello del padre. Una sfida permanente.
«Da allora, in 35 anni, ho sfornato 8000 barche. E su quelle barche ho avuto l’onore di mettere anche motori Ferrari, Porsche, Lamborghini. Fra i miei clienti? Schumacher, Piquet, Gilles Villeneuve, Maradona, Matthaeus, Prost, Senna, Vialli, Mancini, Vittorio Emanuele, la principessa Caroline di Monaco e Stefano Casiraghi, la famiglia Marzotto e la famiglia Gancia, Sylvester Stallone, Madonna. Qui ci siamo abituati ai divi una trentina d’anni prima dell’arrivo di Clooney. Ma a Como sono più provinciali».
Non vende solo ai vip, ma anche ai contrabbandieri. Business is business. Negli anni Settanta alla sua scuola di pilotaggio si iscrivono sia finanzieri che contrabbandieri: guardie e ladri compagni di banco. Il suo quartier generale è ancora nello stesso posto. Lambito dall’acqua. Dove prima della guerra c’era una filanda. Dove poi si costruivano sci e racchette da tennis. Do you remember Maxima torneo? Il tempio della velocità vuole le sue vittime estetiche: quello di Mezzegra non è un frontelago alla svizzera. Barche, auto e stampi di plastica creano un po’ l’effetto panorama di servizio. Si paga dazio al mito, eppure la chiesetta davanti al pontile è di una struggente, primitiva bellezza. Ogni domenica, da mezzo secolo, don Luigi Barindelli dice Messa. E pure lui la recita veloce, etereo, come spinto da un motore Ferrari. Questione di Dna.
Qui il Tullio, che adora parlar forte e comanda una ciurma di parenti, ha costruito i suoi successi, le sue crisi e le sue faticose rinascite. «Sono un uomo di lago e mai abbandonerei quest’angolo di mondo. Qui sono nati il Sea Star e l’Offshore 36, l’Executive e l’Exception, una barca che ha cambiato la storia della nautica. Velocità e sicurezza: un giorno i miei punti cardinali sono diventati anche quelli di Giorgetto Giugiaro. Pensi che quando mi conobbe, mi diede subito del pazzo. Allora, mettiamo in acqua l’Exception ’70. Lui mi dice: bella barca, ma adesso mi faccia vedere i disegni. Io lo guardo e rispondo: non ci sono, facciamoli adesso. L’avevo costruita con il metodo di papà: quattro linee tracciate per terra e lo stampo. Adesso, quasi tutte le barche che si vedono sui giornali sono incesti dell’Exception».
Tullio frequenta il jet-set di Montecarlo mentre il padre si ritira. È il 1975. Da quel giorno, sino alla morte, il patriarca non ha mai smesso di guardar crescere i cantieri dei due figli (anche il Bruno è un vincente con i suoi Primatist) dalla terrazza sul lago. Vedeva passare i motoscafi e faceva da controllo qualità. Nel senso che prendeva il telefono e chiamava. «Mi diceva: attento, quello ha il motore troppo avanti. Capiva i difetti dal rumore. Mi ha portato fortuna: dal 1975 ho venduto 250 barche l’anno, con punte di 350. Adesso festeggio i 35 anni del cantiere e proseguo. Mi ha affiancato mio figlio Tullio junior, siamo una bella coppia. In questo specchio d’acqua si continuerà a sentire il rombo dei nostri motori».
Il Tullio si alza, rovista nei cassetti di un armadio, chiama fantomatiche segretarie che non arriveranno mai. Poi trova quello che cercava. «Ho ancora un sogno: voglio realizzare una barca che possa attaccare il mito del Riva Aquarama». E srotola un disegno con la cura che si riserva alle pergamene antiche. «Lo chiamerò Villa d’Este special, sarà ipertecnologico e velocissimo. Ma soprattutto sarà in legno di mogano. Il cerchio si chiude, torno là da dove sono partito. Da mio padre».
Ed è convinto che, quando passerà davanti a quella terrazza di Lenno per provare il bolide, non sentirà nessun alito di vento.

Il Guido, da lassù, non avrà critiche da muovere.

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