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Il sogno di Briatore «Riportare un italiano sul tetto del mondo»

Fisichella potrebbe lottare per il titolo 53 anni dopo Ascari. «Non posso lasciarmi scappare questa occasione». La Renault ora vuol puntare su di lui. E costringere l’Italia a tifare contro la Ferrari

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato a Kuala Lumpur

Forse è presto per illudersi, anzi, è sicuramente presto. Però sarebbe un peccato non farlo. Per la prima volta in cinquantatré anni, l’Italia ha un pilota dichiaratamente in lotta per il mondiale: Giancarlo Fisichella. Non accadeva dai tempi di Alberto Ascari, quel coraggioso cicciottello, quello sfortunato milanese che stregò i tifosi ed Enzo Ferrari ma non la morte. Prima di andarsene, ci regalò due titoli mondiali. Dopo di lui, un’attesa che dura da oltre mezzo secolo, fatta di acuti isolati, debutti promettenti e cocenti delusioni. Forse è anche per questo che, negli anni, l’Italia dei motori ha scelto di innamorarsi di una macchina e non dell’uomo, aderendo alla confessione ferrarista, alla religione rampante, vincente e nazionalistica nonostante le stonature del passaporto dei suoi molti piloti. Forse per questo non furono uomini da mondiale Musso e Castellotti, neppure l’onesto Lorenzo Bandini. E non lo sono stati neppure Michele Alboreto e Riccardo Patrese. Nel 1985, il primo, con la Ferrari, per metà stagione diede filo da torcere a Prost e la McLaren. In estate dovette arrendersi. Il secondo fu vice campione del mondo nel 1992, con la Williams-Renault, ma il predestinato al mondiale era il compagno Nigel Mansell. E così fu.
Un po’ come lo scorso anno, quando l’uomo baciato dalla verità motoristica è stato Fernando Alonso: per vari motivi, tra cui l’enorme talento e magari qualche interesse worldwide, visti gli sponsor iberici, visto che la Spagna non aveva mai avuto un campione in F1. Insomma, conveniva un po’ a tutti che il ragazzo prodigio venisse coccolato. Tanto più che Giancarlo Fisichella, il compagno, era alla sua prima stagione nel team rifondato da patron Flavio Briatore. Ora non più. Giancarlo è una colonna portante della squadra, l’affiatamento è incredibile, i meccanici stravedono per questo professionista che non rompe le scatole e appena può pigia l’acceleratore: «Fernando non mi considera in lotta per il titolo? Gli farò cambiare idea - dice -. So di potercela fare, nella mia lunga carriera manca solo il mondiale. Mai, in tanti anni di corse, ho avuto un’occasione così importante. Non devo fallire».
A tutto questo, vanno aggiunte un paio di considerazioni: Briatore, dall’89 ad oggi, è riuscito a conquistare due mondiali con un team che faceva maglioni e t-shirt, la Benetton. Ha intuito che il ragazzo scoperto da Tom Walkinshaw, tale Michael Schumacher, era un fuoriclasse. È andato via dalla F1 e ci è ritornato. Ha intuito (seconda volta) che il ragazzo scoperto da Giancarlo Minardi, tale Fernando Alonso, era un fuoriclasse. Con lo spagnolo ha conquistato la pole del più giovane, il podio del più giovane, il Gp del più giovane, il mondiale del più giovane. Briatore ha preso in mano la Renault, ha detto che in quattro anni sarebbe stata da mondiale e ha mantenuto la promessa: primo titolo per la Casa francese come costruttore globale e non più solo fornitore di motori. Il manager italiano è riuscito anche nella doppia impresa di vincere mondiali quando la Ferrari arrancava e di rivincere il titolo per interrompere la cavalcata trionfale della Rossa dei record. Cosa non da poco, considerato lo squadrone messo in piedi dal presidente Luca di Montezemolo e monsieur Jean Todt.
Fatti due conti, visto lo stato di grazia di Fisico, vista la sua vittoria malese, visto che Alonso ha in tasca un contratto McLaren e a fine anno se ne andrà, perché mai il team non dovrebbe coccolare l’italiano? Tanto più che lo spagnolo, in caso di bis iridato, porterebbe alla McLaren il prestigioso numero uno. «Io sono italiano al cento per cento - ha ammesso Briatore - e l’idea che Fisichella possa vincere il mondiale mi piace tantissimo. Per me Giancarlo e Fernando sono uguali, io devo dare a tutti e due gli stessi mezzi per vincere il mondiale. Certo, però, che quando domenica ho sentito l’inno italiano per Fisico mi sono emozionato. E negli ultimi anni l’inno di Mameli per un pilota l’ho fatto suonare solo io con Trulli e Fisichella. Poi, anche se il marchio è francese, la nostra è una squadra con tante anime e quella italiana è molto importante. Noi siamo “made in Italy” da esportazione...».


Flavio non lo ammetterebbe neppure sotto tortura, però lo stuzzica l’idea suprema di mettere alla prova l’Italia ferrarista portando un italiano in vetta alla F1 dopo un’astinenza che dura praticamente da sempre. Giusto per vedere che cosa farebbe quest’Italia: tiferebbe per il tedesco che risiede in Svizzera e viaggia sul jet privato o per l’italiano che ama il calcio, prende l’aereo di linea e si fa ritirare la patente sul raccordo anulare di Roma?

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