Il sogno impossibile del ribelle Gauguin

La mostra su Paul Gauguin al Vittoriano di Roma si propone di darci tutto il percorso di questo artista ribelle, cercatore di un’impossibile età dell’oro. Le opere proposte sono infatti ben 150 fra dipinti, sculture, ceramiche e grafica. La qualità, tuttavia, non è all’altezza della quantità, sia per la mancanza di alcuni quadri importanti, sia perché Gauguin è un artista di alterni risultati. Ma ciò che lascia più perplessi è il taglio della rassegna, dove il curatore, Stephen F. Eisenman, uno specialista di Gauguin, ha voluto sottolinearne le radici «classiche». Un Gauguin classicista, secondo Eisenman, «che s’affidava, nel dar forma al suo pensiero, ad alcune delle tradizioni artistiche e letterarie dell’antica Roma». Il curatore aggiunge che non era «un classicista convenzionale», ma ciò non toglie che la sottolineatura di un Gauguin «romano» è ben presente in tutta la mostra e nel catalogo (Skira).
In realtà Gauguin è tutto fuorché un classicista. Lo dimostrano il suo sperimentalismo, il suo ribellismo di artista maudit, il suo primitivismo, che troverà la massima espressione a Tahiti e nelle Isole Marchesi. Maurice Denis parlò degli «atteggiamenti romantici» di Gauguin, il cui sfrenato individualismo, tuttavia, non gli impediva di accostarsi «alle più collettive e anonime tradizioni popolari», come nei quadri di Pont-Aven. Gauguin può essere definito l’ultimo dei romantici e insieme uno dei primi simbolisti. Il sogno, forse ancor più del mito, era connaturato al suo modo di concepire la pittura. La mostra romana lo conferma. Il Gauguin più geniale è quello che supera l’impressionismo in direzione di una pittura che, allontanandosi sempre più dagli amati Pissarro e Cézanne, cerca strade nuove, che vanno dai giapponesi (Hokusai e Hiroshige) alla tradizione figurativa peruviana. Vaso con scene bretoni e Vaso con figura bretone, in mostra, sono esemplari di questa ricerca. La Bretagna è la prima ricerca del selvaggio e del primitivo.
È lo stesso atteggiamento che lo spinge nel 1891 a Tahiti. Tahiti è la libertà pittorica e culturale, ma anche sessuale. L’amico Pissarro aveva ragione quando scriveva che Gauguin aveva abbandonato l’arte francese per un pittura esotica e primitiva, che finiva per rifiutare qualsiasi tradizione classica. Il ritorno in Francia nel 1893 con i suoi quadri tahitiani, che piacciono poco a Parigi, non può che essere provvisorio. Ormai Gauguin può vivere e lavorare solo in un mondo diverso da quello occidentale. C’è un quadro in mostra, Idillio a Tahiti, del 1901, che lo rivela più di ogni altro.

Il nuovo viaggio verso le Isole Marchesi, dove vivrà fino alla morte nel 1903, è l’ennesima fuga verso una civiltà esotica.
LA MOSTRA
«Paul Gauguin. Artista di mito e sogno». Roma, Complesso del Vittoriano. Fino al 3 febbraio. Info: 0632652596.

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