Riforme, novità, cambiamento. Sono sessantanni che i politici mi tormentano promettendomi appunto le riforme, assicurandomi di essere uomini «nuovi», dicendomi che vogliono «cambiare» per il meglio la società. Tre generazioni buone (sempre sotto il vigile occhio di Andreotti), da De Gasperi e Togliatti a Berlusconi e Prodi attraverso Craxi, Forlani e compagnia bella. Decine le riforme attuate, infiniti in tutti i campi i peggioramenti. Voterò quindi la prossima volta solo per chi mi potrà garantire, se non loggi impossibile ritorno allo status quo ante, almeno un sano immobilismo.
Tutto considerato, sono un «vero» eversore e mi sentirei di seguire le orme dei protagonisti della più bella tra le rivoluzioni: quella messicana del Morelos zapatista. Desiderava forse Emiliano Zapata per i suoi fratelli e amici contadini altro che un ritorno al passato? Al periodo storico in cui la terra da coltivare era proprietà dei villaggi e non dei latifondisti? Le «vere» rivoluzioni popolari questo chiedono: che le sempre deleterie riforme vengano per quanto possibile cancellate!
Questa, poi! Bada, caro MdPR, che se ti legge Fausto Bertinotti, un devoto di Zapata, ti fa nero. Di botte. Se poi campavi ai bei tempi di Baffone, finivi al muro. Quanti ne ha stesi di agricoltori con le tue fisime, Peppe Stalin? Un tre-quattro milioni? Capirai, uno più, uno meno, col doppio cognome come il tuo, poi... Però hai ragione; non tutta, ma una parte sì. Prendi la scuola: è la cosa più riformata dItalia. In mezzo secolo è stata sottoposta agli elettroshock di ventitré, diconsi ventitré, riforme. Visti i risultati sembra proprio che non tu, ma loro, i riformisti, siano coloro che brigano per evergere, per rovesciare tutto. Mai che poi, una volta resisi conto che sè risolta in un disastro, labrogassero, la riforma. Macché, la riformano con una nuova riforma. Hai dunque ragione a picchiar il pugno sul tavolo, caro MdPR, però, come dicevo, non ce lhai tutta. Ci sono infatti riforme che sarebbero una mano santa: dimmi tu, ad esempio, se non è incalzante quella della Magistratura, dimmi tu se si può seguitare ad andare avanti con giudice e accusatore che possono bellamente scambiarsi i ruoli, o con lobbligatorietà dellazione penale che non tiene conto del rilievo del reato. Per cui il raccomandare una squinzia perché anche lei, poverella, abbia una comparsata in tivvù, in certe Procure è ritenuto più meritevole dattenzione che non laver sommerso Napoli di puteolente, schifosissima rumenta (e di sorci).
Poi cè un fatto (e qui torni ad aver ragione): quella del riformatore è diventata una professione. E laggettivo riformista un «brand» - oggi si usa dir così - che ad ogni politico di panza piace agitare, lasciando intendere che le riforme sono la sua «mission» (anche questa, susa dire). E tutti a ripetere, eh, quello sì, quello è un riformista, fautore del «nuovo», del «cambiamento», del «we can» che pochi hanno capito cosa intenda, ma che basta pronunciarlo e partono degli «Yeeeees!» neanche fossimo, come avrebbe commentato Alberto Sordi, a Kansassiti. Povero te, caro MdPR, con tutti sti riformisti a piede libero. Gente che ogni mattina, mentre si sbarba - o, se di diversa identità di genere (anche questo susa dire e proprio tra i riformisti), mentre si fa la ceretta - si pongono la stessa identica domanda: «Cosa cè da riformare, oggi?».
Paolo Granzotto
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.