da Roma
Donne di spicco, specie se dotate di un certo glamour, in ossequio al precetto delle «quota rosa», e giornalisti/critici famosi, meglio se appartengono a testate influenti, come Repubblica e Corriere della Sera.
È la ricetta Rutelli in materia di commissioni cinematografiche. In silenzio, affidando il tutto a uno scarno comunicato del 12 dicembre scorso, il ministro ai Beni culturali ha messo a punto la composizione delle quattro commissioni chiamate a distribuire i finanziamenti pubblici al cinema e della giuria per i premi di qualità. Sia col precedente governo sia con questo, i soldi a disposizione non sono molti (magari è pure un bene). E però quei 23 signori, tanti sono nell'insieme, finiscono con l'essere il terminale di appetiti, richieste, pressioni, telefonate, manovre. Schierato perlopiù a sinistra, il cinema dautore vive ancora massicciamente di aiuti statali, sia pure in misura minore che in passato, quando il ministero finanziava fino a cento film all'anno. Tuttavia, benché i fondi per la produzione siano scesi a una cinquantina di milioni di euro all'anno, gli autori protestano e reclamano.
Insomma, le commissioni tornano a far gola, e non deve essere stato facile per il ministro ordinare i tasselli del puzzle, senza troppo mortificare Rifondazione o i Ds, cioè i due partiti tradizionalmente forti sulla piazza del cinema. Si capisce, Citto Maselli, storico esponente dell'Anac, l'associazione degli autori, nonché amico personale di Bertinotti, se lè presa, rintracciando nelle nomine uno scarso ascolto alle «istanze» del cinema, ma poi tutto è andato a posto, dentro una logica - anche scaltra - volta a inserire i nuovi volti in chiave di spoil-system morbido. Strategia squisitamente democristiana, sulla quale l'ex ministro Buttiglione, che fu poco accorto in materia nominando esperti improbabili, dovrebbe forse riflettere.
Che ti fa, infatti, Rutelli? Conferma Anselma Dell'Olio, che tanto polemizzò sul finanziamento a «Le rose del deserto» del venerato maestro Monicelli, nella sezione che si occupa delle opere prime e dei cortometraggi, mettendole accanto la giornalista (molto Rcs) Ludina Barzini e il regista (molto Moretti) Mimmo Calopresti. Poco importa, al ministro, che il pur bravo Calopresti, titolare di una società cinematografica, diriga la «Scuola del documentario» legata alla Regione Campania e all'Istituto Luce. Fa un po' troppe cose, forse, anche la prediletta Rosita Marchese, di area diessina, piazzata nella commissione più gettonata, quella che riconosce l'interesse culturale ai lungometraggi di autori noti (circa 12 milioni di euro ogni seduta): la signora figura infatti nel cda del teatro San Carlo di Napoli e pilota la Film Commission campana. Nello stesso ruolo ritorna a sorpresa, dopo averne detto peste e corna nel libro «Identikit del cinema italiano» del 2000, il professor Gian Piero Brunetta, mentre viene confermato dalla conferenza Stato-Regioni Francesco Gesualdi, alquanto vicino al governatore Marrazzo.
Solo uno zuccherino a Rifondazione appare la nomina del cantautore-regista Paolo Pietrangeli, quello di «Contessa», nella sezione per la promozione del cinema (festival, premi e rassegne). Mentre ci si chiede perché mai una milanese snob come Natalia Aspesi sia stata chiamata nel quartetto che deciderà «sull'ammissione ai benefici di legge e sull'individuazione dei film d'essai». «Rutelli ha la fissa delle quote rosa», suggeriscono a via del Collegio romano. Ma forse la ragione vera sta altrove: al di là di ciò che scriverà, la temutissima Aspesi significa soprattutto Repubblica. Così come il critico Paolo Mereghetti, confermato nello stesso consesso, significa anche Il Corriere della Sera.
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