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Soldi del Pd, il gup ai pm: non avete indagato

Il gup di Milano Mariolina Panasiti scrive in una sentenza che la Procura sottovalutò il dossier sui fondi esteri della Quercia. E dopo sei mesi il governo Prodi seppellì tutto con una legge ad hoc. Nelle motivazioni si legge che "l'autorità inquirente non si occupò dell'affare Oak Fund. Forse non capì"

«Fatto non costituente reato»: con questa formula la Pro­cura di Milano liquidò la traccia dei conti esteri dei Ds, quan­do vi si imbatté nell’ambito dell’inchiesta sui dossier Tele­com. La traccia che poteva permettere di scavare sugli affari occulti della Quercia venne sottovalutata e ibernata per sei mesi: fino a quando, cioè, entrò in vigore la legge Mastella, approvata a tempo di record e alla quasi unanimità dal Parla­mento, che prevedeva la distruzione di tutti i dossier illegal­mente raccolti. Compreso quello sull’Oak Fund (letteralmen­te, in inglese, il «Fondo della quercia»), la misteriosa entità che controllava una quota della Bell.

A raccontare come venne lasciata raffreddare la traccia che portava - secondo alcuni testimonianze - in direzione di Massimo D’Alema è il giudice milanese Mariolina Panasiti, nelle motivazioni depositate ieri della prima sentenza sul caso Telecom. È la sentenza che ha assolto da buona parte delle accuse Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Telecom, e numerosi altri imputati, tra cui l’investigatore privato Emanuele Cipriani. Come ci si attendeva, nella sentenza la dottoressa Panasiti boccia esplicitamente la linea della Procura su un punto centrale dell’indagine: i vertici di Telecom, a partire da Marco Tronchetti Provera, secondo il giudice erano «interessati » alle attività occulte della security. Ma, a sorpresa, la Panasiti formula giudizi pungenti nei confronti della Procura anche su un altro passaggio-chiave dell’inchiesta: il trattamento riservato all’affare Oak Fund, indicato nel compact disc sequestrato a Cipriani come «operazione New Entry ».

Scrive la Panasiti: «L’autorità inquirente (ovvero la Procura, ndr ) assai probabilmente non ne aveva percepita neppure la portata, tanto che la notizia medesima relativa alla Operazione New En-try era stata separata dal procedimento principale, con iscrizione a c.d. “modello 45”, quali atti non costituenti notizia di reato, ed inviata, in data 12/5/2006, al Procuratore della Repubblica in sede per le sue determinazioni ». Per sei mesi non accade nulla. Il 20 novembre entra in vigore la legge «Mastella». Il 20 dicembre 2006 il procuratore della Repubblica scrive ai pm titolari del fascicolo chiedendo se nelle carte su Oak Fund «fosse configurabile, con riguardo alla detta documentazione confluita nel separato fascicolo, un’ipotesi di raccolta illegale di informazioni ».

A quel punto, cioè, si ipotizza al massimo di indagare su Cipriani e Tavaroli per avere realizzato il dossier. Di quello che il dossier invece contiene, la Procura non si può occupare perché lo vieta la legge approvata in gran corsa. Ma prima, nei lunghi mesi passati tra la scoperta del dossier sui Ds e l’entrata in vigore della legge Mastella, perché non si è fatto nulla? Perché la storia dei fondi occulti della sinistra è stata infilata nel cassetto dei «fatti non costituenti reato»? Per il giudice Panasiti, si è trattato di una sottovalutazione: la Procura «assai probabilmente non ne aveva percepita neppure la portata».

Cosa c’era in quel dossier? A parlarne ai pm, ricorda la Panasiti, è Giuliano Tavaroli: durante la scalata di Pirelli a Telecom, Tronchetti aveva chiesto di scoprire chi si nascondesse dietro la sigla Oak Fund, che controllava una quota della Bell. Il timore di Tronchetti era che dietro la società ci fossero manager di Telecom. Invece, grazie alle indagini di Cipriani, arrivò la sorpresa: «Nel corso dei suoi accertamenti il Cipriani aveva ritenuto di individuare che i soggetti realmente interessati al fondo Oak fossero esponenti del partito politico dei Democratici di sinistra». A individuare i beneficiari del fondo, Cipriani era arrivato grazie alle indagini di tale A. B. Nella copia del rapporto finale finito nel cd, i nomi dei beneficiari del fondo sono occultati da una provvidenziale macchia.

Ma Tronchetti ha ricordato il riassunto che gliene fece Tavaroli: «Marco Tronchetti Provera ha indicato di avere avuto riferita la circostanza nel 2005 da Tavaroli, con indicazioni che la vera proprietà del fondo era da riportarsi ad un partito politico e, in particolare, alla persona di Massimo D’Alema. Aveva indicato in quel contesto al Tavaroli che se vi fossero state delle cose rilevanti avrebbe dovuto denunziarle alla magistratura ». Ma alla magistratura non venne denunciato nulla, e a Cipriani venne ordinato di sospendere le indagini.

Alla fine, il cd con i dossier alla magistratura arrivò lo stesso: ma ugualmente non accadde nulla.

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