Cronaca locale

"Sole e senza lavoro. Più di mille donne ci chiedono aiuto"

L'organizzazione di volontariato "Centro per la vita" sostiene chi non può permettersi un figlio. Il nuovo progetto: seguire le mamme dopo i 18 mesi del figlio

"Sole e senza lavoro. Più di mille donne ci chiedono aiuto"

Il giorno dopo la notizia dell'abbandono del piccolo Enea nella Culla della vita della Mangiagalli, l'ospedale sceglie il silenzio. Troppe le polemiche innescate dal clamore di quel gesto. Una «consegna» che, per come è avvenuta, ha fatto capire due cose: una mamma ha affidato il proprio piccolo nel posto considerato più sicuro e per ora, ma forse per sempre, resterà anonima. Avrebbe potuto abortire. O gettare il bimbo in un cassonetto. Invece ha scelto di farlo nascere e di garantirgli il meglio in quel momento. Che è poi la finalità della Culla per la vita. «Sì e questo ci risolleva. Ma davanti a una scelta così dolorosa non si può non interrogarsi - è la riflessione di Soemia Sibillo, direttrice del Centro per la Vita, l'organizzazione di volontariato fondata nel 1984 da Paola Bonzi - la maternità non è un fatto individuale ma riguarda tutti».

Eppure l'indignazione che correva sui social, all'indomani dell'abbandono di Enea, era in parte rivolta a chi chiedeva alla mamma di tornare sui suoi passi («fatevi i c... vostri»). Ma c'è stato anche chi ha interpretato l'appello al ripensamento di Ezio Greggio come un giudizio negativo nei confronti dell'adozione. E se dietro ogni mamma che rinuncia a essere tale ci fosse il bisogno (o il vuoto)? Di affetti, di sostegno economico, di autonomia? «Sono proprio queste le ragioni che portano le donne qui, sono state 1.421 nel 2022. In passato erano di più, siamo arrivati a 2.000 all'anno» ha riferito la responsabile del Centro per la Vita, l'organizzazione di volontariato che assolve al compito che la legge 194 assegna ai consultori pubblici, ossia un aiuto o un insieme di più sostegni «per la donna che chiede di abortire a causa di condizioni economiche sociali o familiari».

«Le donne che contiamo (1.421 l'anno scorso) hanno tutte avuto il figlio, le seguiamo fino ai 18 mesi del bambino ma quest'anno abbiamo messo a punto il progetto Diciotto Più per avviarle a un lavoro» racconta Soemia Sibillo. Il Centro per la Vita, i cui uffici si trovano al terzo piano della Mangiagagalli, scala B, accoglie le donne che hanno ricevuto la notizia della gravidanza come un problema fra i tanti, qualcuna è a un passo dall'aborto. «C'è chi è stata abbandonata dal compagno, chi ha perso il lavoro, chi è stata mandata fuori casa e ha rotto ogni rapporto con i familiari, qualcuna che ha un ripensamento il giorno prima di fare l'aborto, sono molte le giovani che arrivano con il certificato pronto in mano. Le accomuna il dubbio e una situazione che la gravidanza inasprisce».

Il primo passo per i volontari del Centro è l'ascolto. «Dopo l'incontro le donne escono con un progetto di aiuto sottoscritto e firmato - rivela Sibillo - Il percorso prevede sostegni, si va dalla tessera per la spesa ai prodotti per il piccolo o per la cura personale. Poi gli oggetti indispensabili, culla o passeggino. Se necessario c'è un sostegno psicologico e le visite per la gravidanza. Abbiamo quattro appartamenti che destiniamo alle situazioni più gravi». Dietro la denatalità c'è dunque la povertà, la mancanza di una famiglia allargata e il lavoro precario. «Il progetto varato quest'anno, Diciotto Più, in collaborazione con Fondazione Gi Group prevede percorsi di formazione lavoro e avviamento o reinserimento gratuiti per entrambi i genitori.

Tenendo presente che il nostro impegno non è assistenzialistico ma si prefigge di rafforzare l'autonomia, puntando alle risorse personali e alla responsabilità» è la ricetta del Centro per la Vita.

Commenti