«Solo ora alla soglia degli 80 ho superato la timidezza»

Il 10 novembre l’attrice festeggia l’ottantesimo compleanno, ma rivela di non amare le celebrazioni

Enrico Groppali

da Milano

«Ma davvero vuol farmi un'intervista? Come se non bastasse il libro che mi ha dedicato? Sono stufa della Falk, non ne posso più delle celebrazioni in mio onore, manco fossi il Presidente della Repubblica! E poi, perché rivangare il passato quando il futuro, come una landa sconfinata, ci sovrasta a ogni passo?». Rossella Falk ride a gola spiegata. E la sua, inutile sottolinearlo, è la risata più fresca e gioiosa del teatro italiano. Somiglia a quello di una bimba lievemente imbronciata perché interrotta nel corso del suo gioco favorito il riso della signora del teatro italiano che, incredibile ma vero, compie ottant'anni il 10 novembre prossimo.
«Sarà banale e risaputo, dato che lo dice chiunque si trovi nella mia situazione», commenta l'interessata, «ma io queste otto decadi non solo non me le sento, ma mi sembrano così poche... Anche perché solo adesso, meglio tardi che mai, sto vincendo quell'eterna timidezza che, pesandomi addosso come un sudario, mi ha fatto passare per una creatura arrogante, una presenza scomoda, una divina che peggio di un girasole invece di cercare la luce ripiega nell'ombra, paga dell'ammirazione di se stessa. Ma le sembra possibile?».
Capita spesso coi grandi attori. Che soffrono di ansie e timori inconfessabili ogni volta che entrano in scena. A cominciare da Gassman, Santuccio, Glauco Mauri. Una paura, dicono, che svanisce dopo la prima battuta. È questo o no anche il caso di Madame, battezzata così da Valli e De Lullo, gli amici di sempre?
«Il trac io non ce l'ho. O meglio, non l'ho più. Ne soffrivo agli inizi, questo sì, e in modo addirittura patologico. Tanto che quando, nel '46, mi presentai all'esame d'ammissione all'Accademia d'Arte Drammatica e Silvio D'Amico, a pochi minuti dal mio esordio, mi bloccò con un gelido “Basta così!”, mi precipitai all'uscita pensando di aver fallito la prova. Riprendendomi solo quando la stessa voce, vedendomi nervosa afferrare la maniglia per allontanarmi dal luogo del delitto, mi intimò di scatto: “Torni indietro! Ma cosa ha capito? Ho detto basta perché mi son reso conto che lei ha del talento, e noi con quattrocento aspiranti da esaminare non abbiamo tempo da perdere nella selezione. Sempre che voglia davvero diventare un'attrice...”».
Voleva davvero diventarlo?
«A vent'anni non ci pensavo né tanto né poco. Studiavo pianoforte e andavo pazza per le lingue straniere. Parlavo già inglese e francese e facevo progressi col russo. Fu Giorgio De Lullo, un bellissimo ragazzo incontrato per caso in tram, a convincermi a tentare. “Perché non ti presenti all'Accademia?”, mi chiese di slancio. “Da noi quest'anno ci sono solo delle racchie e un po' di bellezza non guasta mai”, mi redarguì con un'occhiata inequivocabile».
E da allora la Falk non si è fermata più. Ha lavorato con Strehler e Luchino Visconti, ha fondato quella Compagnia dei Giovani che, con De Lullo regista e Romolo Valli primattore, è stata per vent'anni, dal'54 al '74, il simbolo della cultura, dell'eleganza e dello snobismo cosmopolita. E per finire ha assunto la direzione artistica dell'Eliseo, il tempio della prosa romana. Un excursus fatto di luminosi traguardi.
Dica la verità: mai provata la tentazione di smettere?
«La tentazione no, ma la recisa volontà di mettere la parola fine alla mia carriera l'ho dimostrata nei fatti all'epoca del mio matrimonio con Gualtiero Giori. Senza rimpianti, felice di aprire una nuova pagina della mia vita».
Non aveva nostalgia del palcoscenico?
«No, perché la vita con mio marito era un teatro al quadrato fatto di viaggi intercontinentali e di summit all'ennesima potenza. Dal momento che Rino, che aveva brevettato i macchinari della zecca svizzera, in quattro anni mi fece fare tre volte di seguito il giro del mondo perché sostenessi al suo fianco il ruolo più difficile della mia vita: quello della consorte dell'uomo che voleva stampare le banconote della Repubblica Popolare Cinese. Un copione che variava ogni giorno».
Ma un bel giorno il matrimonio finì e lei...
«Tornai sui miei passi. E affrontai di nuovo il teatro con una determinazione che mi stupì per prima, lo scriva, lo scriva!».
Lo scriverò, non dubiti. Ma mi tolga una curiosità: come mai finì un'unione cominciata sotto i migliori auspici?
«La vita non è un copione già scritto che dobbiamo limitarci a interpretare. E può succedere che uno dei due, in questo caso il signore in questione, voglia ritentare l'esperimento con una nuova compagna».
Con l'ingegner Tufari, il suo primo marito, le cose invece andarono diversamente?
«Nicola, che purtroppo ho perso all'improvviso per una crudele malattia, a differenza di Giori amava il teatro. Con lui andavo a Parigi a cena da Cocteau, a prendere un tè da Colette che concesse i diritti di Gigi a patto che io interpretassi Alice mentre a Londra, sempre con lui, facevo colazione nel maniero neogotico di Noel Coward e, di sera, facevo il giro delle boîtes con Peter O'Toole vestito da donna! Ma quelli erano gli anni della swingin' London ben diversi dal conformismo di oggi».
Cosa ci regalerà la Falk del ventunesimo secolo?
«È presto detto. La ripresa a Parigi, tra dodici mesi, di Vissi d'arte vissi d'amore, il monologo che ho scritto per ricordare la Callas recentemente andato in scena a New York».


Non mi dica che non la vedremo più in patria?
«Scherza? Sto pensando alla Arkadina, la terribile primadonna del Gabbiano di Cechov e anche a una novità italiana, spero vi divertirete, in coppia con Andrea Jonasson. Con una Falk che farà faville nel comico, nell'assurdo e nel patetico, glielo prometto».
Le credo sulla parola. Tanti auguri, Rossella cara.

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