Solo la paura tiene in piedi un governo ormai finito

Winston Churchill ammoniva a non fare previsioni: «Per questo ci sono i competenti, che non ne azzeccano una». Che sappia o che ignori questa battuta dello statista inglese, Gianfranco Fini ha snocciolato la sua brava previsione: il governo potrebbe cadere in autunno. E in tal caso, ha spiegato, le elezioni anticipate si svolgerebbero in primavera. Già, ma quale governo gestirebbe le elezioni? Il leader di Alleanza nazionale lascia intendere che l’interrogativo per lui non ha la minima importanza. Perché potrebbe essere indifferentemente questo stesso gabinetto o un governo nuovo di zecca. L’essenziale è che finalmente la parola torni agli elettori.
La previsione di una caduta del governo in autunno forse è azzardata. Tra ottobre e dicembre in Parlamento si registra lo stanco rito della discussione della legge finanziaria e dei bilanci. E se entro il 31 dicembre non si farà a tempo a varare questi provvedimenti, si andrà all’esercizio provvisorio. Ma agli inizi del nuovo anno, una volta incassata la finanziaria, potrebbe essere la maggioranza stessa a disfarsi di un governo che fin dalla sua nascita è apparso un morto che cammina. Un po’ perché una maggioranza priva della benché minima coesione non può durare all’infinito. E un po’ perché i tre referendum elettorali promossi dalla coppia Guzzetta-Segni fanno paura a parecchi partiti. E la paura è una cattiva consigliera. La legge 25 maggio 1970 n. 352 è chiara. All’articolo 24 stabilisce che i referendum abrogativi devono tenersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Tuttavia, nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per l’elezione delle nuove Camere o di una di esse. E in tale ipotesi i termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere dal 365° giorno successivo alla data delle elezioni. Con il risultato che i referendum elettorali slitterebbero di uno o addirittura di due anni, come avvenne nel caso del referendum sul divorzio.
Se il governo dovesse cadere a gennaio, il capo dello Stato potrebbe senz’altro sciogliere le Camere, assecondando così le opinioni convergenti di Romano Prodi e di Silvio Berlusconi, o dar vita a un nuovo governo affinché gestisca in fretta e furia le elezioni. I precedenti sono oscillanti. Nel 1972, nel 1976, nel 1979 e nel 1987 sono stati formati governi ad hoc, presieduti rispettivamente da Andreotti, Moro, Andreotti e Fanfani. Mentre nel 1983, nel 1992, nel 1994 e nel 1996 a gestire le elezioni sono stati i governi in carica, rispettivamente guidati da Fanfani, Andreotti, Ciampi e Dini. Insomma, quattro precedenti a favore della prima soluzione e altrettanti a favore della seconda. Perciò Giorgio Napolitano non avrà che l’imbarazzo della scelta.
Già, ma quando si voterà? Dipende dalla data del decreto di scioglimento delle Camere. Tra questo atto e le elezioni deve intercorrere un lasso di tempo compreso tra i quarantacinque e i settanta giorni.

Perciò con il governo Prodi ci recheremmo alle urne a cavallo tra la fine di marzo e i primi di aprile. Mentre con un nuovo governo voteremmo tra maggio e giugno. Guarda caso, proprio nel periodo in cui si sarebbero dovuti svolgere i referendum elettorali.

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