Marcello Foa
Come il Kursk, ma in miniatura. Nellagosto di cinque anni fa 118 uomini rimasero intrappolati in un sottomarino nucleare nei fondali del mare di Barents; ora un batiscafo di soccorso è bloccato a 190 metri sotto il livello del mare, al largo della Penisola della Kamciatka, nellOceano Pacifico, con sette marinai a bordo. E come allora anche la verità sembra incagliata negli abissi. Sin dai tempi dellUrss, per le autorità russe la «disinformazia» («disinformazione») rappresenta un riflesso condizionato. Negare, minimizzare, sviare: il copione è sempre lo stesso. Ai tempi del Kursk ci fecero credere che i membri dellequipaggio erano rimasti in vita per molti giorni; sospettarono gli Usa di oscure manovre anti-russe; commossero il mondo raccontando che quei giovani inviavano messaggi in codice Morse battendo sullo scafo del sommergibile. Si seppe poi che era tutto falso: quei 118 ragazzi morirono poche ore dopo laffondamento.
E ora? Le certezze sono poche. Eccole.
LAS-28 è un minisottomarino lungo 13,5 metri, alto 5,7 e viene usato per aiutare i sottomarini in difficoltà. Ora si trova a ruoli invertiti: sono i sette uomini dellequipaggio (quattro in più rispetto agli standard, che prevedono solo tre marinai a bordo) a sperare nel soccorso altrui. Lincidente è avvenuto nelle prime fasi di unesercitazione militare di routine: il mezzo è stato lanciato da una nave a una cinquantina di miglia dalla costa della Kamciatka. Immersione rapida, tutto come previsto. Poi, improvvisamente a 190 metri di profondità, le eliche si bloccano, intrappolate in una rete da pesca o, più probabilmente, come si intuirà in serata, in alcuni cavi di acciaio. Il comandante cerca di liberarsi, motori avanti, indietro; timone a destra, poi a sinistra. Forse quelle manovre peggiorano la situazione. Tutto vano. Parte lSos. A bordo ci sono riserve di cibo ed acqua per 5 giorni, fa freddo (cinque gradi) e i sette indossano subito le tute termiche, ma è lossigeno a preoccupare le autorità: quei ragazzi per quante ore possono resistere?
E qui iniziano i misteri, innanzitutto sul giorno e sullora dellincidente. Gli ultimi comunicati indicano genericamente la giornata di giovedì 4 agosto, ma lagenzia Novosti rivela un dettaglio inquietante: lAs-28 è finita nei guai nelle prime ore di giovedì, dunque mercoledì sera ora di Mosca. La notizia viene annunciata al mondo allalba di ieri, venerdì. A quel punto sono già trascorse più di 24 ore, probabilmente 30-36. Il portavoce della Flotta del Pacifico, Alexander Kosolapov, commenta serafico: «La situazione è insolita, ma non val la pena di drammatizzare». Poco dopo il comandante stesso, lAmmiraglio Viktor Fiodorov annuncia che sul batiscafo cè ossigeno fino a lunedì. Ma alle 14, ora di Mosca, il portavoce del comando centrale della Marina militare russa, dà unaltra versione: da quel momento la riserva dossigeno è di solo 24 ore. Fiodorov insiste: cè tempo fino all8 agosto.
Basta un rapido calcolo per capire la verità: 5 giorni è la riserva di ossigeno con tre uomini di equipaggio, con 7 si dimezza. O vengono salvati entro le 14 di oggi (le 12 in Italia) o per loro non ci sarà più nulla da fare.
I sette a bordo stanno bene, comunicano ogni mezzora via sonar, ma sono praticamente al buio: nella serata di ieri lalimentatore era quasi esaurito. Mosca annuncia: sono già iniziate le manovre di soccorso. Due mezzi simili allAs-28 stanno scandagliando il fondale nel tentativo di «tagliare le reti»; poi unaltra verità: le operazioni inizieranno solo nella notte. Mosca confida anche nellaiuto della comunità internazionale, del Giappone, che fa partire 4 navi di soccorso, e soprattutto degli Usa, che da San Diego preparano linvio di due mini sottomarini teleguidati «Scorpio».
Passano le ore, nuove contraddizioni. Fiodorov dichiara: «Stiamo trascinando lAs-28 in acque meno profonde». O almeno così crede di capire la tv «Rossia». Mosca rettifica poco dopo: «Abbiamo cambiato tattica, stiamo tentando di strapparlo alle reti». In serata lultima versione: niente reti da pescatore, a causare lincidente sarebbero stati i cavi utilizzati dal batiscafo per collegarsi a una stazione sottomarina. E ora per liberarlo bisogna far saltare, con unesplosione controllata, lancora che tiene attaccato al fondale quellosservatorio marittimo. «Lo abbiamo agganciato e lo abbiamo trainato per un chilometro», rilancia a notte fonda Fiodorov. «Abbiamo il 51% di possibilità di farcela», annuncia un alto ufficiale. Bagliori di ottimismo al termine di una giornata angosciante e caotica.
Marcello Foa
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