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Sono 300 i miliardi italiani «evasi» e nascosti all’estero

MilanoPilotava personalmente l’elicottero, un giocattolo da 1 milione di euro, sui cieli italiani. Ma, formalmente, la sua azienda, leader nel campo degli elettrostimolatori, aveva il quartier generale in Liechtenstein. Non era così, secondo la Guardia di finanza di Como che, seguendo con pazienza il filo di complesse triangolazioni finanziarie, ha scoperto che l’imprenditore lavorava e operava a Bergamo. E lo ha denunciato per evasione fiscale. I redditi occultati sfiorerebbero i 70 milioni di euro. L’industriale lombardo va dunque ad arricchire la lista dei mille evasori “esterovestiti” che, secondo le Fiamme gialle, si sono trasferiti oltre confine solo per ingannare il fisco ma hanno mantenuto tutte, o quasi, le attività in Italia. Come l’imprenditore sardo del calcestruzzo Sergio Piscedda, il pilota di Formula 1 Vitantonio Liuzzi, il ciclista Davide Rebellin.
Il colpo al re dell’home fitness arriva nel giorno in cui la lotta per riportare in Italia i tesori accumulati nei paradisi fiscali dai nostri connazionali si fa sempre più dura. L’associazione italiana dei private bankers diffonde una stima, giudicata plausibile dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle entrate: i patrimoni custoditi nei caveau di mezzo mondo ammonterebbero a quasi trecento miliardi di euro. Una cifra impressionante. Astronomica. Una montagna di denaro se si pensa che il debito pubblico italiano, la palla al piede del nostro Paese, è di circa 1.600 miliardi di euro. Ora questi soldi potrebbero prendere la strada di casa grazie allo scudo fiscale, lo strumento voluto dal governo e visto come il fumo negli occhi dall’opposizione.
Quanti capitali potrebbero tornare a casa con lo scudo? Questa, partita il 15 settembre, è la terza edizione. Nelle precedenti, fra il 2001 e il 2002, emersero 73,1 miliardi di euro, con un gettito pari a circa 2,1 miliardi. Ma attenzione, allora l’aliquota - calcolata sull’importo e non sul reddito come a volte si legge erroneamente - era più bassa: del 2,5 per cento nel 2001 e del 4 per cento nel 2002. Oggi l’asticella sale al 5 per cento e il governo non fa previsioni a causa «dell’assoluta imprevedibilità dei soggetti interessati».
Si vedrà. Il ministro Giulio Tremonti si limita ad osservare che «l’interpretazione secondo cui lo scudo sarebbe stato utilizzabile solo ai fini fiscali e non penali sarebbe stata equivalente ad un suicidio». Nessuno vuol correre ad autodenunciarsi. «D’altra parte - aggiunge Tremonti - non credo che la criminalità si servirà dello scudo. I capitali criminali o sono in Italia perfettamente sbiancati o continueranno la loro attività all’estero». Insomma, secondo il ministro dell’Economia siamo sì davanti ad una sanatoria ma anche ad un’operazione di buonsenso. Certo, non scandalosa e immorale, come sostiene l’opposizione.
Ora si tratta di capire chi utilizzerà lo scivolo messo a disposizione dal governo. Secondo l’Associazione italiana private bankers 125 dei quasi trecento miliardi sarebbero parcheggiati in Svizzera, 86 miliardi in Lussemburgo, 2 miliardi a San Marino. E i segugi delle Fiamme gialle sottolineano che «sono sempre meno gli ostacoli che si frappongono al monitoraggio e al contrasto dell’evasione fiscale internazionale». Per dirla con il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera, «il destino dei paradisi fiscali è ormai segnato».
Può sembrare uno spot, ma è la realtà. Come dimostra anche un’altra iniziativa delle Fiamme gialle di cui il Giornale ha parlato sabato scorso: lo screening di una lista di ventimila nomi, possessori di beni immobili all’estero. Molti, moltissimi sono perfettamente in regola.

Ma qualcuno potrebbe allungare l’elenco degli evasori internazionali.

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