«Sono cattolico ma voterò sì Se vincerà l’astensione farò disobbedienza civile»

Fiorentino: «Il margine d’errore della diagnosi pre-impianto? Vicino allo zero»

da Milano

Francesco Fiorentino, 39 anni, biologo molecolare di fama internazionale, è conosciuto dal grande pubblico da quando la cronaca ha dato notizia di un caso che ha commosso l’Italia: nel 2004 a Pavia il piccolo Luca è stato salvato da una grave forma di talassemia grazie alla donazione del midollo prelevato dal cordone ombelicale del suo fratellino, nato dopo una selezione genetica effettuata proprio dal professor Fiorentino in un centro di Istanbul. Lui, con un passato nella polizia scientifica, dirige il Centro Genoma a Roma e collabora con centri analoghi sparsi per il mondo, dove può applicare il metodo di selezione pre-impianto senza i vincoli della legge.
Professore, lei è cattolico?
«Sì, e molto credente, ma la posizione della Chiesa sul referendum la considero una vera intrusione nella vita privata delle persone».
Ma il clero sostiene che gli embrioni vadano difesi così come qualsiasi altra vita umana.
«Io gli embrioni li rispetto, molto più di quanto si immagini».
E come la mettiamo con la diagnosi pre-impianto che seleziona gli embrioni prima dell’impianto in utero?
«C’è un grande equivoco alla base della selezione genetica da noi effettuata. La diagnosi pre-impianto non fa che anticipare i tempi della diagnosi pre-natale. L’unica differenza sta nel fatto che se al feto viene diagnosticata una malformazione grave in diagnosi pre-natale la madre deve affrontare il dramma di una scelta: proseguire nella gravidanza o abortire. Nel caso di diagnosi pre-impianto, invece, l’embrione malato non si impianta e così non si genera una gravidanza malata».
La vita quando inizia secondo lei?
«L’embrione è una vita in potenza, non c’è dubbio. Ma per avere una dignità umana deve essere impiantato: non si può tutelare un embrione creato su una piastra di laboratorio che non ha potenzialità di vita».
Quanti embrioni si buttano via in una diagnosi pre-impianto?
«Non si elimina alcun embrione. In media se ne producono sei, se ne usano due o tre e gli altri si congelano, anche quelli malati. Che possono venire usati anche dopo dieci anni. E dopo lo scongelamento solo l’80 per cento rimane in vita».
Lei conosce tante coppie con problemi di infertilità o ammalate geneticamente. Qual è il caso che l’ha commossa di più?
«La storia di una coppia con due figli talassemici che hanno profili genetici diversi tra di loro. Con la diagnosi pre-impianto abbiamo selezionato due embrioni compatibili con entrambi i fratellini e adesso la signora è incinta di due gemelli. Quando nasceranno i neonati si potranno prelevare dal loro cordone ombelicale cellule staminali compatibili con entrambi i fratellini che finalmente potranno guarire».
È soddisfatto dei risultati ottenuti con la sua ricerca?
«Non in Italia, dove si lavora quasi in clandestinità. La diagnosi pre-impianto non è mai stata pubblicizzata, neppure prima dei divieti imposti dalla legge 40. Invece, se supportata nella maniera giusta, questa tecnica può aiutare tanti bambini a tornare sani. E non solo quelli malati di talassemia, ma anche quelli affetti da malattie rarissime, come per esempio la sindrome di Wisckott-Algrich».
Qualche genetista ha puntato il dito su questa tecnica, sostenendo che abbia un’alta percentuale di errore diagnostico.
«Non è assolutamente vero. Dal 1998 ho eseguito 200 interventi senza alcun errore diagnostico. I dati europei e mondiali, invece, danno un margine di errore che oscilla dallo 0,1 allo 0,7 per cento, ma queste cifre tengono conto dei risultati ottenuti in 15 anni di ricerca e dunque anche delle prime applicazioni. Ora abbiamo raffinato molto la diagnostica».
Ci sono situazioni in cui ha rifiutato di fare la diagnosi?
«Sì, quando alcune coppie cinesi volevano selezionare il sesso del nascituro. In quel Paese le femmine non sono gradite e si effettua la villocentesi all’undicesima settimana per poi abortire. Ecco, in questi casi considero non etico applicare la diagnosi pre-impianto».
Il professor Angelo Vescovi, che non è credente, si asterrà al referendum perché dice che ci sono altre strade per raggiungere lo stesso obiettivo, cioè diagnosi senza eliminare gli embrioni. È vero?
«Sì, ma ci sono dei limiti. Si potrebbe effettuare la diagnosi del primo globulo polare, ma noi abbiamo verificato che con questo metodo solo il 30 per cento delle cellule uovo può essere diagnosticato».
Ci sono molti italiani in lista di attesa per la diagnosi pre-impianto all’estero?
«Soltanto a Istanbul attualmente ci sono 50 coppie».
Quanto costa un viaggio della speranza?
«Molto. Ci vogliono 1.500 euro per la diagnosi pre-impianto e circa 2.100 euro per un ciclo di fecondazione assistita. Ma l’investimento più pesante resta quello dei farmaci, che si devono acquistare privatamente. Inoltre vanno aggiunte le spese per la permanenza all’estero - per circa 18 giorni - e le visite mediche. Insomma, per la parte logistica si spende quattro volte di più dell’intera diagnosi».
È vero che lei non fa pagare la diagnosi embrionale alle coppie italiane che visita all’estero?
«Sì, è vero. Le coppie già subiscono il disagio del trasferimento e mi sembra ingiusto che debbano sborsare denaro per qualcosa di cui avrebbero diritto anche in Italia».
E come riesce a mandare avanti il suo centro?
«La diagnosi pre-impianto è una minima parte del nostro lavoro. A me basta raccogliere dati da presentare alla comunità scientifica. Dal 1998 Genoma è il terzo centro al mondo accreditato in questo settore assieme a Chicago e Bruxelles».


Se vincerà l’astensione lei cosa prevede?
«Si intensificheranno le processioni all’estero di coppie malate per fare quello che da noi è vietato. Come mi comporterò? Farò disobbedienza civile e continuerò a offrire ai pazienti italiani la diagnosi pre-impianto gratis per sottolineare l’ipocrisia che regna su alcuni temi nel nostro Paese».

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