Cultura e Spettacoli

Sono eroi di un film i missionari uccisi dai feroci Waodani

Parenti delle vittime e degli assassini promuovono insieme «End of the spear» che racconta una vicenda avvenuta 50 anni fa in Amazzonia

Mariuccia Chiantaretto

da Washington

La tragedia dell’uccisione di cinque missionari, avvenuta l’8 gennaio 1956 nel bacino amazzonico dell’Ecuador, è diventata un film. I cinque missionari protestanti, Nate Saint, Jim Elliot, Ed McCully, Pete Flemminig e Roger Youderian, caddero trafitti dalle lance dei guerrieri della tribù Waodani, definita dagli antropologi la più feroce dell’Amazzonia. Il film, End of the spear («La punta della lancia», produzione indipendente) uscirà nelle sale americane il 20 gennaio. È tratto dal romanzo Through gates of splendor di Elisabeth Elliot (una delle vedove) che ha venduto milioni di copie.
Contrariamente al libro, che racconta la storia dal punto di vista dei missionari-piloti, che i loro aerei erano atterrati nella zona dove aveva notato strani movimenti di aborigeni, ricostruisce i fatti come l’hanno vissuto i Waodani e spiega come l’assassinio dei bianchi sia stato decisivo per la loro evoluzione. Qualche anno dopo il massacro, la vedova di Saint e la sorella di un altro missionario si trasferirono infatti con i bambini nella foresta per curare i malati della tribù. Con la loro presenza, in due anni gli omicidi diminuirono del novanta per cento. I Waodani hanno confessato alle due donne d’avere ucciso i loro mariti perché un ragazzo e una ragazza della tribù, scoperti ad amoreggiare nella foresta, avevano tentato di farsi perdonare raccontando d’avere avvicinato i bianchi costringendoli a confessare il sequestro e l’uccisione di una bambina. In realtà la piccola Dayumae era fuggita anni prima dalla madre che la voleva seppellire col padre morente, secondo una antica usanza della foresta, e viveva con le mogli dei missionari in un villaggio di cercatori di petrolio in disuso. Fu poi la stessa Dayumae, sorella di Mincayani, l’uomo che guidò il drappello responsabile del massacro, a facilitare i contatti fra la vedova di Nate Saint e il figlio Steve con tutta la tribù.
In questo modo Steve Saint, quando aveva appena dieci anni, ha potuto incontrare l’assassino di suo padre. Col passare degli anni i due hanno esplorato il sentiero del perdono, sono diventati amici e in questi giorni girano insieme l’America per promuovere il film. Steve Saint è poi stato mandato dalla madre al liceo a Quito diventando un uomo d’affari di successo. Si è trasferito in Minnesota, poi in Texas ma non ha mai smesso di occuparsi delle missioni sparse nel mondo. Nel 1995 è tornato con la moglie e i quattro figli fra i Waodani per il funerale di una delle vedove dei missionari ed è stato convinto da Mincayani a rimanere.
Per Mincayani, ormai ultrasettentenne, il tuffo nella società americana per il lancio del film è stato una fonte inesauribile di sorprese. Fra le cose che lo hanno colpito di più ci sono i supermercati che chiama «case del cibo». «Mi piacciono - ha spiegato - perché si può prendere tutto quello che si vuole. Alle casse ci sono ragazze che sorridono, prendono ciò che hai scelto quasi ignorandoti, poi lo mettono in un sacchetto e te lo consegnano sorridendo». Quando Steve Saint gli ha fatto notare «in cambio vogliono quella piccola cosa che si chiama carta di credito», Mincayani, con la saggezza di un vecchio capo tribù ha risposto: «Però te la restituiscono sempre».
Per girare il film il regista Jim Hanon ha chiesto il permesso ai Waodani, oggigiorno una tribù di circa duemila persone, in parte cristiani e in parte animisti. «C’è voluto - ha spiegato - del bello e del buono per convincerli. Ho dovuto raccontare la storia del liceo Columbine dove due studenti americani, per puro odio hanno ammazzato diciannove compagni. La loro risposta è stata: "Se proprio voi americani ritenete che raccontando la nostra storia possiate rendere meno violenta la vostra società, diamo il nostro consenso"».
Il film è stato girato nelle foreste di Panama, più vicine a una vera città, dove era più facile portare cavi elettrici per l’illuminazione a giorno. I protagonisti principali sono attori sudamericani. Uomini e donne di un’intera tribù della foresta equatoriale sono stati scelti per i ruoli minori.

Il casting director Mark Fincannon ha spiegato entusiasta: «Non mi era mai successo di scegliere interpreti di un film fra gente che non era mai andata al cinema. Ho dovuto spiegare che mi aspettavo da loro emozioni simulate, che tutto andava rifatto parecchie volte. Si sono subito immedesimati nelle parti, come attori di professione».

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