Sì, è vero, lo dicevamo anche per darci un tono. Per snobismo. Ma c’era molto di vero, di purtroppamente vero, come direbbe Frassica, in quel che dicevamo; e cioè che eravamo troppo poveri per prenderci il lusso di essere anche comunisti.
Correva la fine degli anni Sessanta, e il penultimo di quel decennio, come poi imparammo, sarebbe diventato addirittura “mitico”. Il mitico Sessantotto. Non la faremo lunga, e non ci faremo su neppure un’oncia di filosofia e di amarcord. Dico solo che se fossimo stati meno snob, e ci fossimo serenamente intruppati nel Movimento, come facevano quasi tutti, avremmo “acchiappato” di più, in quelle sessioni no stop di okkupazioni al liceo e all’università; avremmo avuto vita più facile, socialmente parlando; e avremmo trovato un posto di giornalista senza buttare il sangue, come invece ci toccò.
Chiedo scuso del preambolo personale. Ma mi è parso necessario, di fronte alla notizia che arriva da Londra, e in fondo è sempre la stessa notizia che riciccia da quarant’anni, e forse anche da prima, anzi senza dubbio da prima: perché a fare i rivoluzionari, i Santorre di Santarosa, i risorgimentali o i leninisti son sempre loro: i borghesi, quelli che se lo possono permettere; perché ribaltare l’ordine costituito, dare aria alle parrucche elettrizza, fa chic, appassiona. Ma appassiona anche di più se uno ha un eskimo ben foderato di pelliccia e un autista dietro la barricata (come pur si vide nel Sessantotto) che tiene aperta la portiera della Mercedes dentro la quale riparare quando il gioco si fa duro.
L’ultimo epigono dell’immortale genere si chiama Charlie Gilmour, ha 21 anni, ed è il figlio adottivo di David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd. Era lui il brillantone che l’altro ieri si è appeso come un macaco alla bandiera che a Londra sventola sul monumento al Milite Ignoto a Whitehall, vicino a Westminster. In Inghilterra una roba così, giuridicamente parlando, si chiama «oltraggio ai caduti». Gesto - come quello di sfregiare la statua di Winston Churchill e di attaccare la polizia a cavallo (in fondo prendere a pedate l’auto del principe Carlo e della signora Camilla è stato il minore dei mali) - che ha letteralmente scioccato non solo la maggioranza silenziosa dei benpensanti ma perfino gli stessi autori. I quali, rivedendosi il giorno dopo, a sbornia passata, si sono francamente vergognati degli eccessi compiuti durante le manifestazioni di protesta per l’aumento delle rette universitarie. E si sono cosparsi il capo di cenere. Gilmour è tra questi.
Davanti allo scandalizzato cipiglio del primo ministro David Cameron, Charlie Gilmour (al quale naturalmente l’aumento di 9mila sterline nella retta del College fanno l’effetto di una paglia che titilla un baffo) ha abbassato la testa e ha chiesto scusa. Gesto (rarissimo da noi) davanti al quale noi ora cavallerescamente ci scappelliamo. «Non avevo capito che stavo sul Cenotafio», ha detto Charles, studente del terzo anno di Storia al prestigioso Girton College di Cambridge. Per poi aggiungere: «Voglio esprimere le mie più profonde scuse per il terribile insulto a migliaia di persone morte coraggiosamente per il nostro Paese. Mi vergogno. È che mi sono trovato inseguito dalla polizia insieme a altre centinaia di persone, e mi sono fatto prendere dallo spirito del momento».
Ora la domanda è la seguente: ve li immaginate, voi, una Martina Veltroni, figlia di Walter, progressista cinematografara con comodo di casa a Manhattan, o un Leon Blancheart, 23 anni, figlio di un ricco gallerista milanese con attico in centro, star delle ultime manifestazioni studentesche, nell’atto di chiedere scusa? O una Carlotta Cossutta, 22 anni, ex liceo Parini, ora iscritti a Filosofia in
Statale, nipote del commovente Armando, vecchia gloria del Pci, anche lei tutta un sussulto rivoluzionario, ammettere come ha fatto Charlie Gilmour che sì, ogni tanto, anche i sinceri rivoluzionari fanno delle “idiozie”?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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