«Il premio Nobel ..fatemi ridere, non glielo daranno mai, no non ci credo proprio...non succederà..... non permetteranno mai che succeda». Mentre parliamo, a Oslo hanno già deciso, ma la signora Liu Xia non ci vuole credere. Risponde con voce rassegnata, monocorde. La voce di chi si sente schiacciato da un Moloch invincibile. La voce remissiva arrendevole di chi pensa che neanche l'Occidente, neppure il mondo libero possano sfidare la rabbia e la prepotenza di un potere tracotante, sfrontato, invincibile. «No - ripete al telefono - il Nobel per la pace a mio marito non lo daranno mai». Poi si blocca, scoppia in una risata nervosa, incontenibile frenetica. «Scusatemi, ma qui non è facile dovete capirmi» .
E come non capirla. Suo marito Liu Xiaobo, il 54enne scrittore dissidente a cui il comitato di Oslo ha appena attribuito il Nobel è in galera dal 2008. E se la condanna comminatagli a dicembre dello scorso anno non s'interromperà dovrà restarci fino al 2019. Da tre anni lei è sola in quell'appartamento prigione di Pechino. Sola con l' unico figlio. Sola con ansie e ricordi. Sola con quel cellulare diventato l'unico legame con l'esterno, l'unico ponte capace di superare il cordone di agenti messi a sorvegliare la sua abitazione, la sua vita, i suoi movimenti. Smette di ridere. «Ho 49 anni e, credetemi, non ho più speranze. Anche se veramente gli danno il Nobel - come raccontate voi - cosa mai cambierà? Qui non cambierà nulla. Forse gli farà piacere, ma la situazione non migliorerà. Non lo faranno uscire...continueranno a tenerlo in prigione».
Perché è così pessimista?
«Da qui non siamo in grado di distinguere i fattori in grado di esercitare un’influenza e quelli assolutamente irrilevanti. Guardi la società... facciamo passi da gigante dal punto di vista economico, ma se parliamo di diritti e libertà individuali tutto sembra immobile, bloccato. Da quel punto di vista, non progredisce mai nulla. Un premio non può cambiare molto. Di certo non cambierà la vita di mio marito».
Ne avete parlato?
«Da quando, a maggio, lo hanno trasferito nel carcere di Jinzhou, ho finalmente la possibilità di vederlo ogni mese. Probabilmente lo ha saputo dal suo avvocato, ma noi non possiamo dirci molto, tutti i colloqui sono sorvegliati».
Com'è questo carcere?
«È molto lontano, ci metto sei ore per arrivarci, ma almeno quando ci vado posso stare con lui per un'ora. Quando era in prigione qui a Pechino non me lo facevano neppure vedere. Lasciavo i vestiti, il cibo e i soldi che gli avevo portato e mi mandavano via. Talvolta manco glieli davano. Anche la sua situazione sembra migliorata, almeno non è più solo in prigione...almeno ora parla con altri detenuti».
Come giudica la condanna a 11 anni inflitta a suo marito?
«È puramente politica. Non esiste alcuna motivazione giuridica. Nel codice penale non esiste neppure una legge a cui appigliarsi per tenerlo dentro. Ma qui non importa a nessuno. Qui il potere è ottuso... non rispetta neppure i propri ordinamenti».
Com'è andato il processo?
«Lo hanno accusato di sovversione contro i poteri dello Stato, ma lui non ha accettato quel capo d'imputazione, ha ripetuto di essere assolutamente innocente. Il processo è durato tre ore e nessuno vi ha potuto assistere, neppure io. Hanno tenuto fuori anche i rappresentanti stranieri. Quel processo non conteneva un briciolo di verità. Mio marito non ha fatto nulla, si è limitato a manifestare le sue idee, ad esprimere le sue opinioni. Per giustificare quell'accusa hanno selezionato cinque o sei dei suoi articoli tirando fuori passi in cui si parlava di dittatura. Mio marito sconta 11 anni di carcere per aver scritto degli articoli».
E lei si sente controllata?
«Di solito posso muovermi liberamente, ma non posso ricevere amici. Di solito sono libera di parlare liberamente al telefono,ma in questo momento non è così ...
La linea s'interrompe bruscamente. Dieci minuti dopo Twitter lancia la notizia «i soldati a casa della signora Liu Xia». E il suo telefono non risponde più.
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