Sono solo vignette

Sarebbe una gran cosa se al confronto Islam-Occidente dedicassimo un decimo dell’attenzione che abbiamo dedicato a quel caso politico che è divenuto Roberto Calderoli. E invece, sbirciando il mondo dalla serratura della nostra campagnetta elettorale, guardiamo a Calderoli come se il problema fosse davvero lui e rischiamo così di diventare i migliori alleati di chi vuole lentamente svuotarci dei nostri valori e della nostra dignità di occidentali.
Per intanto segniamoci questo: che siamo al punto che ciò che è legale (delle banali vignette) possa esser ritenuto provocatorio o quasi illegale se riferito a un determinato soggetto. È la verità. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia nel dire che a una folla polacca o irlandese non perdoneremmo un centesimo di quello che siamo pronti a perdonare a una folla libica o afghana: una differenza, tra tante, è che probabilmente una folla irlandese o polacca avrebbe più contezza della propria protesta di quanta ne abbiano quei dimostranti che assediano i consolati e magari non hanno neppure mai visto le famose vignette. Qui non è neppure più in discussione la famosa reciprocità tra una civiltà e l’altra: è in discussione il nostro diritto di essere occidentali in Occidente, il diritto di comportarci come abbiamo sempre fatto secondo dei dettami che abbiamo conquistato con orgoglio. Il finanziare delle moschee per quei musulmani che provengono da nazioni in cui essere cristiani è proibito, difatti, è apparentemente masochistico ma molto occidentale; parimenti, il permettere a una donna islamica di circolare per l’Italia in Burka, quando nella vicina Turchia è viceversa proibito che una suora circoli in tonaca, è nondimeno bagaglio della nostra tollerante cultura: e questo può non piacere e se ne può discutere, difatti se ne discute. Ma qui si parla d’altro: non che un certo Islam non si adegua ai tolleranti parametri occidentali, ma che un certo Islam sta ottenendo che l’Europa multiculturale usi due pesi e due misure al suo interno a seconda che i soggetti siano o meno musulmani. Questo mentre noi, come detto, agitiamo il caso Calderoli come se vi fosse di mezzo solo una questione di stile o di galanteria diplomatica. Roberto Calderoli ha detto: in gioco non ci sono io, ma una civiltà. E questa può sembrare una frase sbruffonesca, ma provate a dargli torto. Lo hanno già scritto tutti che in Danimarca la mobilitazione islamica era stata predisposta tre mesi prima che le vignette fossero usate come pretesto; e parimenti sapevamo tutti, come Magdi Allam sul Corriere ha spiegato meglio di chiunque, quanto sia improbabile che i singoli governi islamici non fossero a conoscenza dei disordini che sono scoppiati.
Nondimeno sappiamo che quelle vignette sono solo vignette, né particolarmente belle né specialmente provocatorie: sono vignette come altre migliaia che i più vari soggetti occidentali usano ogni giorno uno contro l’altro, sono normali, soprattutto sono legali, sono semplicemente ciò che è nostra consuetudine e che corrisponde pur sempre, nel suo piccolissimo, alla sacra e famosa libertà di espressione: anche se i disegnatori danesi, nel caso, fossero effettivamente «dei deficienti» come ha scritto Massimo Introvigne sul Giornale. Un conto, dunque, è voler considerare il comportamento di Calderoli come imprudente, esibizionista, inopportuno, elettoralistico, quel che volete: un altro voler pensare che egli sia realmente corresponsabile di una o più bufere anti-occidentali che vengono da lontano, e che per essere fronteggiate abbisognano di ben altro che di un rinnovato galateo che si faccia islamicamente sempre più corretto. Un galateo che via via, in virtù di quel nostro rammollimento che usiamo chiamare tolleranza, rischierebbe semmai di permettere che un domani ci venga richiesta praticamente ogni cosa col ricatto di una nostra progressiva insensibilità, col rischio che ci venga imposta una rinuncia anche a diritti acquisiti i quali semmai, mi permetto di dire o ricordare, dovrebbero essere gli islamici a dover acquisire e non certo noi a dover disconoscere. Tra questi diritti, eccoci, c’è appunto un diritto di satira che deve continuarsi a regolare solo sulla base delle nostre leggi, non certo sulla base di una pretestuosa e rinnovata sensibilità integralista o che in ogni caso non ci appartiene; con essi, dunque, deve esserci il nostro pieno diritto di giudicare incivili per esempio il burka, certa discriminazione della donna, l’antisemitismo ideologico, le minacce anti-occidentali pronunciate magari in quelle moschee da noi finanziate, laddove il fiancheggiamento del terrorismo ha sovente trovato sponda; il diritto, dunque, di non rinunciare nemmeno per un momento a ribellarci contro le fatwe mortali scagliate contro dei meri disegnatori satirici, deficienti o meno che siano. È questa la priorità, il primo scandalo; Calderoli e le sue canottiere vengono assai dopo. Nessuna provocazione può giustificare le reazioni violente degli assaltatori di consolati, figurarsi se lo possono delle vignette legali.
La politica e la diplomazia continueranno a seguire vie proprie, ma, a puro rigor di logica, prima che sia l’Occidente a doversi scusare per delle vignette legali, è altri a doversi giustificare per delle violenze illegali. Questo è un fisiologico ordine delle cose da ristabilire, mi pare.

Anche perché il caso Calderoli, frattanto, è già chiuso, o alla peggio si è avviato a funestare le nostre misere cose di campagna elettorale; ma intanto gli incidenti e le violenze continuano come prima, e come probabilmente poi.

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