Quando incise il suo primo disco, nel 1974, disse di sé: «C’è chi procura il pane e chi, come me, le rose». Qualcuno prese Angelo Branduardi per un giovane snob dalle belle speranze, ma la critica capì di avere di fronte un personaggio unico. Non solo il trovatore «favolistico», quello dei suoni medievaleggianti e barocchi, di Confessioni di un malandrino e di La fiera dell’est. Col tempo Branduardi è tornato alle sue radici classiche. Le centinaia di rappresentazioni della vita di San Francesco, la rilettura in musica di Saffo, Catullo, Shakespeare, l’apologo della falena innamorata della fiamma del mistico pashtun Mirza Khan Askari, l’ultimo cd Futuro antico 4. Venezia e il Carnevale dedicato alla musica cinquecentesca. Con amore e passione Branduardi continua a celebrare l’epifania dell’amor sacro e dell’amor profano sulla via della musica classica.
Sabato e domenica di Pasqua tiene un doppio concerto in forma di oratorio al Sistina di Roma; la settimana prossima esce l’album Senza spina, registrato nell’86 all’Olympia; il 24 maggio un cd di antica musica papalina e quest’inverno un album dedicato alla tradizione sacra milanese.
Un impegno controtendenza.
«Alle mie origini, poiché da quando avevo 5 anni studio musica classica. L’arte deve andare contro l’ovvietà, anche se è un rischio, perché l’originalità può portare al flop anziché al successo».
Come fa rivivere questi brani classici?
«Dal punto di vista strettamente filologico; l’unica cosa che non è filologica è la mia voce ma in realtà chi può dirlo? La mia voce è naturale e non impostata, e chi sa come cantavano nel ’500?».
Partiamo da «Senza spina», l’album che esce ora.
«Nasce da una tournée europea che feci nell’86 con un quartetto acustico, molto prima che fossero inventati i cosiddetti concerti unplugged. Lo ha ritrovato il mitico ingegnere del suono Franco Finetti, non sapevo neppure esistesse. È modernissimo: contiene brani di Yeats, di altri poeti e alcuni inediti. Insomma è il “peggio” di Branduardi».
Dunque ha abbandonato il pop e le sue famose canzoni.
«No, per niente; non sono uno che rinnega ciò che l’ha reso famoso. I concerti del Sistina sono divisi in tre parti. Nella prima propongo la Laude di Francesco; nella seconda i classici ma a modo mio, per esempio La fiera dell’est per solo voce e violino; nella terza una sorta di show minimalista per creare equivoci armonici melodici e ritmici».
Poi arriverà un disco di musica sacra.
«Lo presento a Roma il 24 giugno, giorno della Festa di San Giovanni. Una festa particolare perché incrocia i riti religiosi con quelli pagani. La notte precedente infatti è detta notte delle streghe».
Per lei la spiritualità è fondamentale.
«Sì, la musica, come dice Morricone, è l’arte più astratta quindi la più vicina a Dio. Non nasce qui e ora, è uno sguardo gettato oltre una porta chiusa. Trascende la realtà, tanto che i primi musicisti furono stregoni, sciamani, maghi ma anche i santi: il Vangelo quando dice “all’inizio era il verbo” annuncia il suono, la parola. E incantare, da incantesimo, significa che, quando il creatore riposa, altri cantano per ridargli energia».
Qui c’è il diavolo e l’acquasanta.
«Sì. La musica è spirituale e trascendente, ma io quando suono non rimango inerte, aggiungo la mia natura carnale, con i suoi difetti e le sue tentazioni. Uomo e musicista in realtà non coincidono mai, non sono la stessa persona».
E la fede?
«Ho troppi dubbi e troppo pudore per parlare di fede. Ho iniziato a lavorare sul “Cantico dei cantici” come fatto puramente poetico, poi ho avvertito altre sensazioni. Del resto anche la vita di Francesco è stata durissima, piena di dubbi e cadute».
Tornando alla musica: cosa pensa degli artisti di oggi?
«Dai vari Paoli e Tenco a Guccini e De Gregori in poi c’è stato un salto generazionale. A parte Tiziano Ferro non vedo nessuno. Mi daranno dell’antidemocratico ma la musica non è per tutti; non si può insegnare, è un 10 per cento di ispirazione e un 90 di traspirazione. Ora l’elettronica permette a tutti di suonare, ma la qualità dov’è?».
E i pianisti che riportano in auge una sorta di musica colta?
«Ammiro molto Ludovico Einaudi».
Pessimista...
«Realista. Oggi poi i discografici non ti danno più tempo. Ai miei tempi avevi tre chance: ti dicevano col primo disco perdiamo, col secondo andiamo a pari, col terzo guadagniamo. Oggi ti danno la prima e l’ultima».
Come si rilassa Branduardi nelle pause di lavoro?
«Tre, quattro giorni di riposo in famiglia ogni tanto per ricaricarmi. Leggo molto poesia e sono un fan convinto di Wagner. Appena posso ascolto nuovi suoni: ora mi affascinano i flauti della Melanesia».
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