Obama avrà convinto gli americani, ma ora deve convincere i prigionieri. È l’ennesima rogna targata Guantanamo, il centro di detenzione per super terroristi che il presidente giura di voler chiudere da quando è entrato nello Studio Ovale. A pochi mesi dalla scadenza di quel primo anno di mandato entro cui s’è impegnato a sbaraccare la galera più criticata del mondo, i detenuti sembrano i primi a non volersene andare. Stanno benissimo nelle loro celle a due passi dal mare dai Caraibi e non hanno nessuna voglia di traslocare nelle galere di massima sicurezza dove i cittadini americani scontano le loro pene in condizioni assai più dure.
A far trapelare l’imprevista rivelazione capace di gettar nello sconforto ogni autentico e sincero democratico sono i funzionari di origine araba incaricati di sviluppare relazioni culturali con i sospetti terroristi. «Qui i detenuti possono uscire, fare quattro passi, annusare l’odore del mare. Chiunque sia passato da queste celle sa che in nessun altro carcere ritroverà gli stessi privilegi, chiunque sia messo nella condizione di scegliere tra Guantanamo e un “super max”, un centro di massima sicurezza in territorio americano, chiederà di restare qui».
A regalare l’inattesa rivelazione ad un giornalista britannico, reduce da una visita al più discusso carcere del mondo è Zak, un operatore culturale abituato dal 2005 ad interpretare pensieri e parole dei reclusi. A trasformare Guantanamo nella migliore delle prigioni possibili sono stati i generali del Pentagono. Mentre il mondo li accusava di aver messo in piedi un «simbolo della negazione dei diritti dell'uomo» – come recitava il 23 gennaio scorso il sito web del nostro Partito democratico - gli esperti della difesa statunitense hanno progressivamente migliorato la struttura e le condizioni detentive della prigione inaugurata nel 2002.
Oggi le immagini dei prigionieri in tuta arancione incatenati e trasportati in carriola o chiusi in anguste gabbie sopravvivono solo nelle fotografie scattate pochi mesi dopo la caduta del regime dei talebani. I canili, come venivano chiamate le gabbie del campo X Ray, sono state abbandonate già nel 2004. A poca distanza da quel primo embrione di carcere è sorto un centro d’alta sicurezza replica di altre due moderne prigioni americane. Lì gli ultimi 221 detenuti rimasti vivono in celle dove una freccia appesa al letto indica la direzione della Mecca e dove hanno a disposizione un tappetino per le cinque preghiere quotidiane.
Più dell’ospitalità contano, però, i servizi in cella. Tre volte alla settimana ogni galeotto riceve tre quotidiani tra cui, oltre all’americano Usa Today, un giornale saudita e uno egiziano. Chi vuole testi più impegnativi può approfittare di una libreria con 16mila libri e oltre 160 riviste. Lì i reclusi possono immergersi nella lettura dei più famosi testi dell’islam o rilassarsi sfogliando riviste di piante, fiori e animali dove ogni immagine è consona ai principi integralisti. Chi preferisce la televisione può invece richiedere i Dvd di un rifornito centro video.
All’ora dei pasti ogni recluso sa di poter contare su un pranzo rigorosamente «halal», ovvero cucinato in base ai precetti dell’islam e della cucina mediorientale. Per non sbagliare il Pentagono ha anche fatto aprire un forno dove si prepara il tipico pane arabo a forma di pizza distribuito assieme a razioni di datteri, miele ed olio d’oliva.
Comfort e privilegi sconosciuti agli ospiti del «super max» di Florence, la prigione di massima sicurezza dove l’amministrazione Obama vuole trasferire gli ultimi prigionieri della guerra al terrorismo. In quell’angolo di Colorado - gelido d’inverno e torrido d’estate - i militanti di Al Qaida trascorreranno - al pari dei detenuti americani - 22 ore e mezza della loro giornata dentro cubi di cemento da 2 metri e settanta per lato e rimpiangeranno le 5 e passa ore d’aria quotidiane rese più dolci dal clima dei Caraibi, le partite nel campo di calcio completato all’interno del braccio 7, le passeggiate al sole, le lunghe soste concesse per lavare e asciugare i vestiti all’aria aperta.
Anche incontri e chiacchiere tra detenuti diventeranno, come libri riviste e Dvd, un rimpianto del passato.
Così mentre la data della chiusura s’avvicina, Guantanamo perde la sua immagine di prigione dello scandalo e si trasforma per ammissione degli stessi detenuti nella migliore delle galere possibili. Oggi, insomma, per dirla con Peter King, un rappresentante repubblicano del Congresso reduce da una visita alla prigione, «l’unico scandalo di Guantanamo è che i detenuti là dentro se la passano fin troppo bene».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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