Rodolfo Parietti
da Milano
Lannus horribilis era stato il 2001, periodo di grandi incertezze generate dalla tragedia dell11 settembre, terreno di coltura della recessione su scala mondiale che sarebbe poi venuta. Uno choc complessivo subìto anche dagli italiani, perfino incapaci di assolvere al tradizionale ruolo di costruttori di risparmio, con appena l8,7% del reddito messo da parte. Percentuale assai bassa, più vicina agli standard americani che ai nostri abituali parametri. E infatti, a distanza di quattro anni, il tasso di risparmio italiano è fortemente risalito fino a toccare il 12,8%, con tendenza a ulteriori miglioramenti (a inizio anno veniva accantonato il 12%).
Il livello di risparmio rappresenta, da sempre, un punto di osservazione privilegiato per comprendere abitudini e stato di salute economico di un Paese. Sotto questo profilo, lindagine realizzata da Gfk Eurisko per conto di Assoreti sembra restituire limmagine di unItalia più serena, capace di metabolizzare i crac finanziari tricolori (Parmalat e Cirio, su tutti) e quelli internazionali (bond argentini) e di riscoprire dunque linteresse verso gli investimenti finanziari. Non è stata tuttavia debellata una sorta di colpevole (e rischiosa) ignoranza sui prodotti finanziari da acquistare e, soprattutto, sui titoli già in portafoglio. «Alle famiglie serve un check-up dei bisogni di investimenti», commentano i curatori dellinchiesta.
Crescono le formiche. E allora vediamo come si comportano gli italiani, ovvero i 1.000 capifamiglia detà compresa tra 30 e 60 anni interpellati da Assoreti-Gfk Eurisko, rappresentativi di 14,9 milioni di nuclei familiari. «Il diffuso timore dimpoverirsi non trova riscontro in una reale perdita del potere dacquisto», spiega lindagine. Aggiunge Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti: «Si è esaurito un lungo ciclo di crisi, e dissolta quella sfiducia che aleggiava. La capacità di risparmio è un dato importante, favorevole, da non sottovalutare». Se la media di reddito accantonato si attestava alla fine dello scorso ottobre al 12,8%, le famiglie con disponibilità mensili superiori a 2.400 euro riescono a risparmiare il 18,2%, mentre quelle con un reddito medio-basso (poco più di 1.000 euro) mettono da parte il 10,1%. Il dato forse più confortante è la contrazione accusata dallinizio dellanno dal numero di coloro che dichiarano di essere costretti a spendere quanto guadagnano: il 31% di gennaio si è infatti ridotto al 27%. Ma la situazione è cambiata in particolare rispetto al 2001, quando ben il 42% delle famiglie non era nelle condizioni di risparmiare.
Investo, ma non mi informo. Con laumentare del risparmio e con il miglioramento della congiuntura, agli italiani sta tornando voglia di investire. Così, dopo 6 anni di trend calante, linteresse per la gestione del denaro e degli investimenti è salito nel giugno scorso al 36% dal minimo del 32% di un anno prima. Nonostante migliaia di famiglie siano state rovinate dal default dellArgentina e dai dissesti di Tanzi e Cragnotti, solo il 50% degli intervistati dichiara di considerare molto importante fornire allintermediario finanziario le informazioni necessarie per individuare gli obiettivi di finanziamento e il grado di propensione al rischio. E, ancor peggio, il grado di conoscenza crolla al 27% quando si tocca il tasto della ripartizione del portafoglio. «È una percentuale bassissima - dice Tofanelli - e preoccupante: se avessero diversificato, molti risparmiatori non avrebbero subito conseguenze così pesanti dai crac Cirio e Parmalat».
Anche i giovani sanno poco. Nel cassetto hanno libretti di risparmio (il 41%), conti in banca o alla posta (il 33%), Bancomat o Bancoposta (il 30%) in tasca e carte di credito nel portafoglio (il 14%).
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