Da un po di tempo da queste parti sparisce di tutto. Molto spesso uomini, quasi sempre speranze. Ma da un po di tempo sparisce anche dellaltro. Armi per esempio. E soldi. E lAmerica non la sta prendendo per niente bene. Tutta colpa del Washington Post che, setacciando i dati forniti una settimana fa dal Government Accountability Office, lorganismo contabile che fa capo al Congresso, si è messo a fare le pulci nei conti del Pentagono. Scoprendo che molte cose non quadrano per niente. Una su tutte: 190 mila armi partite da Washington per essere consegnate alle forze di sicurezza irachene non ci sono più. Cioè 110mila fucili AK-47 e 80mila pistole Glock sparite nel nulla oltre a 135mila tra giubbotti anti-proiettile ed elmetti. Nelle mani di chi non si sa. In soldoni, è il caso di dirlo, la Casa Bianca non è in grado di dire dove sia finita più della metà, il 54 per cento, delle armi leggere consegnate a Bagdad per riportare ordine e stabilità nel Paese. Per acquistare lintero pacchetto, 185.000 fucili dassalto Ak-47 e 170.000 pistole, sono stati spesi 19,2 miliardi di dollari, 2,8 solo per portarli là. Chiaro che a qualcuno la cosa sia andata di traverso.
Il Washington Post ce lha soprattutto con il generale David Petraeus, responsabile del programma e oggi comandante delle forze Usa in Iraq, e con il Pentagono che si sarebbe sostituito pare senza motivo in questa partita al Dipartimento di Stato. Spiegano per esempio che nella guerra in Bosnia gli Stati Uniti consegnarono al Bosnian Federation Army 110 milioni di dollari di equipaggiamento militare, tutto regolarmente consegnato e registrato. Stavolta invece, insiste il Washington Post, ci sono «differenze enormi» tra quanto partito da Washington e quanto il generale Petraeus giura di aver consegnato alle forze di sicurezza irachene. E aggiunge il carico da novanta: tra il 2004 e il 2005 più di 350 mila fucili AK-47 furono fatti uscire dalla Bosnia e dalla Serbia, per essere usati in Iraq, «da società private che lavorano con il Pentagono, con il permesso della Nato e delle forze di sicurezza europee in Bosnia».
Cè da dire che lUfficio parlamentare di controllo riconosce al Pentagono di aver collaborato alle conclusioni raggiunte senza però spiegare perché avesse più volte premuto per far ottenere al programma 2 miliardi di dollari supplementari. Nonostante la sparizione di gran parte di quelli già consegnati. Il timore è che la partita darmi possa finire nelle mani della guerriglia, attraverso il contrabbando o le connivenze che esistono a livello locale con i ribelli. E secondo un anonimo dirigente del Pentagono citato dal The Washington Post, gran parte di queste armi sono state già utilizzate in combattimenti contro i soldati americani. Un brutto biglietto da visita per il rapporto che tra un mese dovranno presentare alle due camere di Washington, manco a dirlo, il generale David Petraeus e lambasciatore statunitense a Bagdad, Ryan Crocker.
A dire il vero non è la prima volta che in Irak succede una cosa del genere. Nello scorso febbraio si scoprì che molti poliziotti, o ex poliziotti, vendevano armi al mercato nero. Per paura o per bisogno. O semplicemente per denaro. Sequestrano armi nei raid di routine e poi le vendono ai trafficanti. Un paradiso per chi ha abbastanza denaro. Alla borsa nera ci sarebbe di tutto. Fucili d'assalto AK-47, l'articolo che va di più, lanciagranate a razzo, fucili di precisione, mitragliatrici a nastro. Servono non solo ai terroristi ma anche a chi vuole solo proteggere le proprie case e i propri quartieri. Persino i nostri carabinieri due anni fa denunciarono che «alcune pistole Beretta 92S» erano state «rinvenute in possesso di forze ostili». Arrivate chissà come e attraverso chi.
Ma spariscono anche soldi. Nel 2003 dei 12 miliardi di dollari in contanti spediti da New York a Bagdad su aerei cargo C-130 per essere distribuiti ai vari ministeri, 8 sparirono nel nulla.
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