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Gli speaker virtuali hanno già fatto boom Migliorano la vita ma attenti alla privacy

Nel 2019 sarà record di vendite (oltre 250 milioni). In attesa che parlino meglio

Mark Perna

Il fenomeno potrebbe essere passato inosservato ma la diffusione degli smart speaker rappresenta la più rapida adozione di un'innovazione nella storia della tecnologia digitale. Il primo dispositivo approdato sul mercato è stato quello di Amazon già nel 2015, tuttavia la commercializzazione su larga scala con il prodotto Echo è iniziata solo sul finire del 2016, lo stesso periodo del lancio di Google Home. Da quel momento ad oggi, stando alle stime della società di ricerca Canalys, sono stati venduti oltre 100 milioni di dispositivi. Un boom senza precedenti la cui ascesa non si è affatto esaurita. Deloitte prevede che entro la fine di quest'anno la base di speaker con assistente vocale installati supererà i 250 milioni di unità mentre il valore di questo mercato arriverà a ben 11,79 miliardi di dollari entro il 2023 come riferisce la previsione di MarketsAndMarkets. Numeri eccezionali per una categoria di prodotti, gli smart speaker, che stanno rapidamente conquistando una posizione privilegiata nelle case degli utenti. Un successo reso ancora più sorprendente considerando che al momento questi dispositivi offrono servizi piuttosto limitati.

Il compito di questi oggetti è in fatti quello di rispondere alle domande degli utenti e di gestire con la voce altri prodotti connessi, dal termostato smart alla lavatrice passando per le luci WiFi. Due sono quindi le criticità: il riconoscimento vocale e l'intelligenza artificiale necessaria per comprendere ed elaborare le risposte. I prodotti in commercio soffrono la dimensione ancora primordiale di queste tecnologie, costringendo gli utenti a usare frasi confezionate e comandi limitati, siamo infatti ancora lontani da un'esperienza di linguaggio naturale in cui è possibile dialogare normalmente con l'assistente digitale. Né Alexa, né Google Assistant, né Siri e neppure gli altri sistemi in circolazione sono in grado di offrire conversazioni complete e dinamiche. Al momento gli smart speaker rappresentano poco più di un gadget tech ma sarebbe sciocco sottovalutarne le potenzialità future.

I tassi di miglioramento delle prestazioni sono infatti esponenziali, non solo legati agli indubbi sviluppi dei sistemi di machine learning, ma soprattutto al crescente volume di dati analizzati legati ai sempre più numerosi prodotti installati. Un altro punto non va trascurato: chi inizia a usare la voce per dare comandi difficilmente torna indietro. Impostare un promemoria, una sveglia, un timer, ma anche ascoltare uno specifico brano musicale o aumentare la temperatura dei termosifoni, senza dover prendere lo smartphone, aprire applicazioni e inserire dati, è un vantaggio indubbio e irreversibile. La voce accelera e semplifica tutto, ecco perché gli smart speaker (ma più in generale gli assistenti vocali) hanno davanti un brillante futuro.

Attenzione però a non sottovalutare la questione della privacy. «I dati e le abitudini raccolte dagli assistenti digitali infatti vengono raccolti ed elaborati anche per profilare le abitudini degli utenti, categorizzarli socio-demograficamente a seconda del luogo, degli acquisti, dello stile di vita, delle necessità», dice al Giornale l'avvocato Marco Martorana, Data Protection Officer certificato. «Ci ricordiamo tutti il caso della Cambridge Analytica e le sue implicazioni elettorali negli USA. Di recente abbiamo letto di uno smart speaker che, per errore, ha condiviso sui social una conversazione privata del proprio utente. O di dispositivi che, senza il consenso dell'utente, condividevano il suo posizionamento», ricorda ancora Martorana. Le implicazioni legate alla privacy sono enormi anche perché questi dispositivi sono fisicamente nelle nostre case, nei nostri uffici, e per funzionare devono poter ascoltare.

Meglio non dimenticarselo.

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