Chi ebbe il privilegio di ascoltare in teatro Maria Callas non amava risentirla nelle sue registrazioni discografiche. Dopo il precoce ritiro dalle scene della Divina, i suoi dischi assursero allo status di reliquie, collezionate da legioni di nuovi ammiratori che poterono ammirarla solo così. Ora esce Callas Remastered , una grande collezione di tutti i suoi album rimasterizzati con 26 opere complete, 13 recital e un libro di 136 pagine con foto esclusive e lettere firmate da lei. Però c'è da chiedersi il perché di quell'atteggiamento da parte dei fan della prima ora. Quanto la Callas offriva in scena, dove il suo senso del tempo e l'istinto musicale di attrice drammatica e tragica erano sublimi, sembrava attenuato, svanito, se non quasi interamente perduto, davanti agli inesorabili microfoni. Luchino Visconti, il suo Pigmalione registico, diceva ammirato: «Aveva i tempi nel sangue, tutto diventava istinto per lei». Vi era poi una ragione estetica, legata alla natura stessa della sua vocalità, considerata poco fonogenica. Nessuno discuteva le qualità sceniche della Callas; non pochi «osservavano qualche disuguaglianza di colore nel suo impasto timbrico, qualche nota schiacciata lungo il ponte di passaggio tra registro medio e registro superiore («fa-sol»), e qualche suono velato o sordo nel centro e nel grave», come scrisse uno dei critici che capì per intero la portata rivoluzionaria del suo ingresso nel mondo dell'opera, Eugenio Gara. Perciò i cultori dell'edonismo sonoro, che nel Belpaese potevano opporre alla Callas formidabili beniamine, le gridarono «imbrogliona». La formidabile organizzazione vocale della Callas - «purezza degli attacchi, sonorità argentina degli acuti estremi, agilità perlacea, vigoroso declamato ed estensione dei mezzi - però trascendeva anche la tecnica, impossessandosi di tutto il personaggio. Quando una personalità artistica così sui generis , incontrò il disco, la sala di registrazione divenne un luogo naturale dove sperimentare e scavare la parte. «La Maria è l'elemento più disciplinato che mi sia mai capitato fra le mani - ricordava Visconti - non solamente non chiede di ridurre le prove, ma le sollecita, e ci partecipa dal primo all'ultimo minuto con la stessa intensità, dando tutto, cantando sempre a piena voce; anche quando chi dirige la invita a non affaticarsi».
Il personaggio mondano, stordito da Onassis e dal jet set, nulla aveva a che fare con la cantante (della quale domani cade il 37esimo anniversario della morte) che tutti immaginavano simile alla capricciosa primadonna. Nello studio di registrazione si esaltarono l'eccezionale versatilità musicale e la meticolosità. Per la sua ultima incisione di Tosca a Parigi, rifece Vissi d'arte , decine di volte, mai soddisfatta, mai paga, e forse presaga che il passato remoto evocato da Floria Tosca era diventato il suo. Il prestigio raccolto dalla Callas in un decennio è dimostrato dal fatto che impose per molte opere, ben dodici, quale concertatore e direttore d'orchestra, il maestro Tullio Serafin. Era naturale che la Callas nutrisse riconoscenza per il patriarca del melodramma che l'aveva lanciata, e merito maggiore, l'aveva saputa guidare con la sua mano sapiente.
Non molti sanno che Serafin non poteva più mettere piede alla Scala dalla prima stagione del secondo dopoguerra. Senza spiegazione alcuna trovò la sua cartella in portineria, col veto di entrare. Motivo dell'irritazione del Sovrintendente Antonio Ghiringhelli era aver saputo che il suo Direttore musicale distribuiva fotografie che mostravano il sommo maestro Victor De Sabata stringere la mano a gerarchi del passato regime fascista.
Un colpo molto basso che gli meritò l'interdizione, che la Callas revocava per le sessioni estive di registrazione. Quel patrimonio di incisioni ufficiali (dal primo album Cetra del '49 alle arie verdiane del '69), rimasterizzato dalla Warner nei leggendari studi londinesi di Abbey Road, eliminati rumori e fruscii eterocliti, offre un'immagine ancora vivida del «fenomeno» Callas, con buona pace di chi continua a pensare che la sua voce sia un rebus.
Spesso fuoriclasse rivoluzionari avevano una voce «brutta». Lo dissero del tenore Aureliano Pertile; oggi castronate analoghe si sentono per Jonas Kaufmann. Serafin a chi gli chiedeva della «brutta» voce di Pertile, rispondeva di aver sentito nel suo repertorio solo tante voci quanti erano i personaggi che interpretava. Lo stesso vale per la Callas: quello che faceva in Sonnambula non era quello che faceva in Anna Bolena , diverse anche da punto di vista vocale. E la modernità con cui disegna i personaggi più vari: uno per tutti, fra i meno noti, la Nedda dei Pagliacci , donna libera, volitiva, piena di vitalità, e senza un cedimento verso effetti a strappacuore.
«Il nostro compito è proprio quello di scoprire il segreto, il quid misterioso che ogni personaggio musicale ha in sé», disse la Callas con umiltà. Per fortuna possiamo (ri)ascoltarla nella sua prorompente e rinnovata modernità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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