Un altro disco di Hendrix il morto che canta (troppo)

Il chitarrista sforna inediti a getto continuo anche se è scomparso nel 1970. Ecco chi c'è dietro il business della sua eredità musicale

Un altro disco di Hendrix il morto che canta (troppo)

«Meglio bruciare subito che spegnersi lentamente» (Neil Young dixit), un verso che riassume lo spirito del rock dimenticando però che il rock stesso è una combinazione altamente infiammabile di creatività e commercio. Ed è sempre l'elemento commerciale a prevalere, come dimostra la storia discografica di Jimi Hendrix. A 43 anni dalla morte del glorioso chitarrista i suoi dischi continuano ad uscire come in una catena di montaggio e il 4 marzo è in arrivo People, Hell and Angels, nuovo cd della sua copiosa collezione postuma.

Da dove salta fuori questo fiume di suoni che promette di non finire? «Suonava per ore ed ore - dice Deering Howe, amico intimo di Jimi - finché non era distrutto e ci sono in giro nastri per almeno 1500 ore di musica», mentre Leon Hendrix, fratello di Jimi, ha parlato addirittura di 3000 ore. Da vivo Jimi ha inciso solo quattro album poi, con The Cry of Love, del 1971, il fedele ingegnere del suono Eddie Kramer apre la serie del «caro estinto» e tira fuori anche lavori appena decenti come War Heroes dicendo - nel 1972!?! - «abbiamo raschiato il fondo del barile». Lo stesso Kramer oggi, insieme all'archivista storico di Jimi, John McDermott, fa parte della società Experience Hendrix Lcc, di proprietà di papà Al Hendrix e della sorellastra Janie, che ha riportato in famiglia tutto il patrimonio artistico del chitarrista di Seattle e lo dispensa periodicamente al pubblico. La Experience, partita nel '97 con l'ottimo First Rays of the New Rising Sun, l'ultimo album a cui stava lavorando Jimi prima di morire, arriva fino a Valleys of Neptune del 2010, serie di incisioni in trio con Billy Cox e Mitch Mitchell ma palesemente ricca di sovraincisioni. E come carico da undici è proprietaria della Dagger Records che pubblica i «bootleg uffciali» dell'artista.

Al e Janie sono così convinti di donare al pubblico la vera memoria storica di Hendrix e di evitare l'uso indiscriminato e selvaggio delle sue registrazioni come fece - dal 1975 al 1995 - il produttore Alan Douglas (che aveva molti nastri hendrixiani inediti da sfruttare al massimo nel suo archivio) che partorì ottimi long playing come Crash Landing con Stephen Stills al basso (piazzatosi al quinto posto delle classifiche americane) e album di pessimo livello, frutto di estemporanee jam sessions come Nine to the Universe, curioso per le improvvisazioni con il tastierista Larry Young e il grande contrabbassista jazz Dave Holland ma nulla più. Molti accusano la famiglia di speculare sul mito della rockstar, ma Janie (che è una furbacchiona e ha tagliato fuori persino il fratello-chitarrista Leon dalla società) ha raccontato una storia struggente sul suo impegno: «Quando ero piccola un giorno lui mi disse che si sarebbe preso cura per sempre di me e io feci altrettanto. Per me fu una promessa cosmica e ho sacrificato gran parte della mia vita per prendermi cura di lui alla mia maniera. Cioè facendo ascoltare ai fan l'autentico percorso artistico di Jimi». McDermott più prosaicamente ha dichiarato: «Cerchiamo di dar vita a un paessaggio postumo. Partendo da First Days of the Rising Sun il nostro messaggio è: “questo disco Jimi l'ha iniziato e non l'ha finito. Vogliamo farvi capire meglio ciò che stava cercando di combinare”».

Profittatori o veri portabandiera del testamento hendrixiano, i famigliari tengono vivo da 43 anni l'album dei ricordi della chitarra più famosa del mondo, anche con piccole perle come il cofanetto West Coast Seattle Boy, che parte dalle sue incisioni giovanili al fianco di Little Richard e Isley Brothers. I fan esultano aspettando People Hell and Angels e qualcuno rinfocola le polemiche come Alan Douglas che, dopo aver perso il controllo sui dischi ha dichiarato, contraddicendosi: «C'è già abbastanza musica di Hendrix da ascoltare; bastano i suoi primi quattro album».
Ma «il caro estinto» prospera nel business del rock. Spremutissimi i Doors e Jim Morrison; otto dischi con la band e da solo e oltre 40 post mortem.

Il giovane Jeff Buckley ha pubblicato 3 dischi dal vivo e il doppio da morto. Hendrix potrebbe puntare al record di Elvis, che ha in circolazione almeno una cinquantina di dischi post mortem con rarità, incisioni dal vivo e persino brani «cantati in bagno mentre si preparava per i concerti».

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