Addio al "megadirettore" Paolo Paoloni, con Fantozzi fu il simbolo dei "padroni"

Con il ruolo nel film creò un personaggio decisivo per capire gli anni '70

Addio al "megadirettore" Paolo Paoloni, con Fantozzi fu il simbolo dei "padroni"

«Voci, caro Fantozzi, messe in giro dalla propaganda sovversiva». A volte bastano poche inquadrature e qualche battuta a consacrare un mito cinematografico, uno di quei simboli che entrano nel passaparola generazionale. Se ne è andato ieri il megadirettore galattico di Fantozzi, il «Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam» che nel primo, gigantesco film della saga ricopre il ruolo spietato di «padrone». Si chiamava Paolo Paoloni, aveva quasi novant'anni ed era originario di Ancona. Un attore di buon livello che l'intuitivo Luciano Salce scoprì nel 1968 e poi volle anche nel memorabile film che fotografa un'epoca, i suoi totem e le sue angosce. In Fantozzi il megadirettore si vede soltanto alla fine ma incombe sempre, in ogni scena, rappresentando l'ossessione del potere e l'obbligo di subalternità incondizionata del dipendente.

«Che differenza c'è tra me e lei, è solo questione di intendersi» dice il Duca Conte al ragionier Ugo matricola milleuno barra bis, riassumendo quel modo democristiano di frammentare i concetti, ammorbidirli, annebbiarli di retorica. E con quall'andatura soffice, i capelli bianco-celesti, i modi felpati, Paoloni era perfetto e quel ruolo contribuì a consacrarlo (poi recitò in altre commedie, molto a teatro, anche in tv con Cochi & Renato e in Don Matteo.

«Vabbè ma le cento piante di ficus? Le poltrone di pelle umana e il grande acquario nel quale nuotano i dipendenti sorteggiati?» gli chiede il dipendente ribelle che sta ritornando nei ranghi sottomessi: «Voci, caro Fantozzi». In realtà sono vere e poco dopo il ragioniere finirà nell'acquario dei dipendenti. È la scena surreale che fotografa una percezione diffusa a metà degli anni Settanta, quando è uscito il film. Gli anni di piombo. Le lotte. Pochi mesi dopo l'uscita di Fantozzi nel 1975, le Brigate Rosse rapirono l'industriale Vallarino Gancia e, nel conflitto a fuoco a Cascina Spiotta nell'Acquese, furono uccisi un carabiniere e Mara Cagol, la compagna di Renato Curcio.

Un periodo sanguinoso, nel quale anche le risate erano spesso politicamente orientate e comunque cupe. Come quelle del cardinalizio megadirettore e dell'inerme dipendente che a un certo punto gli dice: «Vedo, Santità, che nell'acquario le manca la triglia. Posso avere l'onore, io?».

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