Ieri, è morto uno dei soprani di riferimento della seconda metà del Novecento, Montserrat Caballé, all'anagrafe Maria de Montserrat Viviana Concepción Caballé i Folc. S'è spenta a 85 anni, nell'ospedale Sant Pau di Barcellona, dove era ricoverata da metà settembre. Catalana per nascita e temperamento, Caballé era donna risoluta e combattiva, ma anche capace di grande dolcezza. Negli ultimi anni aveva diradato le apparizioni, di fatto si ritirò ufficialmente solo cinque anni fa, «senza musica non esisto», dichiarava. In mezzo secolo di attività ha costruito una galleria di oltre cento personaggi dove domina una Mimì (La Bohème di Puccini) da manuale.
Era stata una Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti last minute a procurarle il lancio internazionale, la chiamarono per supplire l'indisposta Marilyn Horne, alla Carnegie Hall di New York. Quella sera, correva il 1965, nasceva una stella. Successo che le guadagnò l'ingresso al Metropolitan di New York, dove cantò 98 volte, quindi nei teatri di tutto il mondo. Di fatto, le ossa se l'era fatte all'Opera di Basilea, sorrideva ricordando quei primi passi nel teatro svizzero, «dopo l'audizione mi dissero che per la verità non avevano bisogno di un soprano». Avrebbe potuto diventare il primo grande smacco della sua neonata carriera. Però «trovavano carina la mia voce quindi avrei potuto assistere alle prove, e chissà, non era da escludere un piccolo ruolo. Era la mia prima offerta, e accettai. Entusiasta, spiegai a mamma che avevo un primo contratto. Quanto guadagnerai?, mi chiese: Niente, però pensa: potrò assistere alle prove e fare esperienza».
Slanci giovanili.
In Italia, ebbe il primo ruolo importante a Firenze, nel 1967, ne Il Pirata di Bellini, e dopo una particina nel Parsifal, tornò alla Scala da protagonista nel 1970 in Lucrezia Borgia. Per 16 anni fu ospite abituale del teatro milanese soprattutto nel nome di Donizetti, Bellini, Rossini, perché il primo Ottocento italiano era nelle corde di questo soprano dalla tecnica ferrea, perfetto controllo del fiato, voce dotata d'agilità, purezza, trasparenza. Leggendari i suoi pianissimo. Del resto lei era la «Superba», appellativo che la distingueva dalla «Divina» Callas e dalla «Stupenda» Joan Sutherland.
Ancora circola un video amatoriale del 2007 che la riprende durante le prove di un concerto a Taormina. Il direttore sbaglia a dare gli attacchi, allora lei spiega quando dovrebbe entrare l'orchestra. Niente da fare, il direttore è recidivo, e fra gli strumentisti regna l'anarchia. Con la naturalezza di chi ha decenni di palcoscenico nell'anima e nel corpo, la cantante alza le braccia e inizia a dirigere accanto a un direttore basito. La Caballé era fatta così. Donna giunonica, chioma leonina, occhi ispanici, solare. E carattere da vendere.
L'attitudine alla resilienza la aiutò ad uscire dai tunnel delle malattie. Nel 1985 le dissero che le sarebbero restati 36 mesi di vita per un cancro al cervello. Un problema all'ipofisi le procurò un'obesità contro la quale, a un certo punto, rinunciò a combattere, «se uno accetta quello che non può cambiare, alla fine lo ama», disse sollecitata sul tema se mai avesse fatto cure dimagranti.
La salute non fu mai dalla sua parte, e nonostante la professionalità impeccabile, si ritrovò non poche volte a dover cancellare le recite.È stata la voce ispanica per eccellenza, nel 1988 incise l'album Barcelona con Freddie Mercury, il singolo omonimo divenne l'inno dei Giochi Olimpici del 1992.
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