Ai funerali di Eco si parla solo di Bompiani La cerimonia in tv diventa un mega-spot per la «Nave di Teseo»

Andreose: «Vogliamo riprendere il catalogo di Umberto e, se ci riuscissimo, l'intera storica casa editrice»

Matteo SacchiUna volta Umberto Eco disse: «Mentre un saggio tende ad arrivare a delle conclusioni, un romanzo mette in scena le contraddizioni». Verrebbe da dire allora che il funerale laico di Umberto Eco rientra nella categoria del romanzo. Ieri il cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco di Milano ha visto confluire attorno al suo feretro personaggi diversissimi. Un numero enorme di giornalisti, una folla ampia, ma certamente non gigantesca (pazienza se qualche giornale scriverà il contrario), di normali cittadini e di lettori. Sulla parte del loggiato riservata alle autorità si sono incrociati professoroni universitari molto compiti, musicisti jazz che suonavano con Eco (cultore del flauto dolce) la fisarmonica, giornalisti di sinistra armati di aneddoto, editori italiani (Elisabetta Sgarbi) che impugnavano verso le telecamere il libro postumo di Eco, editori stranieri con l'aria un po' confusa e un nipote affranto e commosso, Emanuele, desideroso solo di ricordare suo nonno per quello che era per lui. Difficile allora fare un racconto coerente dell'evento. Meglio accostare l'una all'altra delle istantanee.Si inizia con giornalisti che vagano inseguiti dai messi comunali e professori universitari che hanno scritto un bel pezzo della cultura italiana che arrivano e si siedono con anticipo consci che non c'è il quarto d'ora accademico. C'è ad esempio discussione per decidere se il filosofo Maurizio Ferraris sia il filosofo Maurizio Ferraris. Lo è. Non c'è invece dubbio che Moni Ovadia sia Moni Ovadia e viene assediato. Racconta delle notti che lui ed Eco trascorrevano assieme raccontando barzellette. «Una volta ce ne siamo raccontate così tante che lui mi ha detto adesso io conosco tutte le tue e tu conosci tutte le mie come facciamo?. E io gli ho detto che per fortuna ci sarebbe venuta l'Alzheimer e ci avrebbe fatto la grazia, avremmo potuto raccontarcele di nuovo». Poi il crocchio attorno ad Ovadia si scioglie perché compare Elisabetta Sgarbi. Occhiali giallo evidenziatore ma con stanghette blu, vestito molto rock e il libro postumo di Eco estratto da uno shopper della Milanesiana. Così Pape satàn Aleppe finisce anche a La vita in diretta e il cortile della rocchetta si riempie di persone mentre risuonano le note de La follia di Corelli. Ma sotto le note si discute anche della Nave di Teseo e della Bompiani in odor di cessione da parte di Mondadori. Sulla Nave di Teseo tornano un po' tutti, è citata più del Nome della Rosa. La timoniera del vascello ricorda dal palco, che «Eco voleva che la Nave sapesse navigare anche senza di lui. Non aveva bisogno di fondarla ma lo ha fatto, disse, perché si deve, per regalare un futuro». E, quanto a Bompiani, sia la Sgarbi che Mario Andreose (collaboratore storico di Eco passato alla Nave) spiegano al Giornale, a cerimonia finita, che sono intenzionati a riprendersi il catalogo delle opere di Eco e, se ce ne fosse la possibilità, di riprendersi tutto il possibile di Bompiani. Andreose è più esplicito: «Bompiani è la nostra storia se avessimo i soldi certo che ce la riprenderemmo». La Sgarbi è più prudente ma poco cambia: «La Nave di Teseo è disponibile a valutare l'acquisizione di ciò che l'Antitrust dirà che non deve rientrare nell'operazione. Se fosse Bompiani certamente tenteremmo di ridare unità al catalogo degli autori che sono parte della Nave di Teseo».Ma se gli addetti ai lavori sono attenti ai dettagli del carenaggio di navi editoriali, la maggior parte delle persone è più attenta a scoprire l'Eco viaggiatore in Cina assieme a Furio Colombo o si accontenta di osservare Roberto Benigni con il maglioncino rosso e Carlo De Benedetti che gli sta a fianco col piumino e grazie alla posizione strategica finisce in tutte le riprese. O fotografa Gad Lerner che abbraccia Vattimo. Sta abbastanza ai margini, invece, Paolo Fabbri che ora, dopo la morte di Eco, è forse il più noto semiologo italiano.

Gli chiediamo un parere su Eco accademico: «Un grande. A volte discutevamo perché io lo rimproveravo di dedicarsi alla semiologia soprattutto nei suoi aspetti filosofici. E lui mi rispondeva che filosofo si sentiva. Un po' diverso dall'Eco che viene raccontato oggi».

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