Alastair Cram e l'arma pacifica dell'evasione

Durante la Seconda guerra mondiale per 21 volte riuscì a sfuggire al nemico

Alastair Cram e l'arma pacifica dell'evasione

Quando il tenente Alastair Cram appuntò in una serie di diari scritti a matita le avventure di cui era stato protagonista durante la Seconda Guerra mondiale, non aveva certo intenzione di pubblicarli. Erano resoconti scritti subito dopo il conflitto che lui aveva steso soprattutto per se stesso. Una serie di ricordi messi insieme con scarsa punteggiatura, centinaia e centinaia di parole che rimandavano alle esperienze vissute in situazioni di estremo pericolo. Momenti in cui Cram non si era fatto vincere dalla disperazione, ma aveva affrontato la sorte con coraggio. Il militare scozzese non immaginava che le sue memorie potessero diventare oggetto di studio, né tanto meno di celebrazioni, perché secondo lui si trattava di fatti ordinari, non di straordinarie avventure. «In queste pagine - scriveva - sono riportate le imprese compiute da una persona che è riuscita a evadere e ha voluto fornire una descrizione accurata dei luoghi e delle situazioni tipiche di chi fuggiva in Europa durante la guerra, poiché i fatti qui narrati sono simili a quelli vissuti da centinaia di uomini e ufficiali di tutte le nazioni».

Chi leggerà la ricostruzione di quegli eventi raccontata da David M. Guss nella biografia Un uomo in fuga (Newton Compton, pagg. 384, euro 9,90) non potrà non pensare che quelle vicende hanno qualcosa di unico. Cram, infatti, per buona parte della sua esperienza militare è stato prigioniero, e ha collezionato ben 21 evasioni. La sua odissea inizia nel 1941, quando viene catturato in Nord Africa, durante la battaglia di Sidi Rezegh, ma nel corso degli anni conoscerà dodici campi di concentramento, tre prigioni della Gestapo e persino un manicomio criminale. Ogni volta riuscirà a non lasciarsi spezzare dai sistemi detentivi nei quali i nemici cercheranno di cancellare in ogni modo la sua umanità. Soprannominato dalla commediografa inglese Kia Corthron «l'Harry Houdini della fuga», Alastair Cram (1909-94) era un uomo schivo che non cercò di celebrare le proprie imprese. Soltanto il fatto che l'appassionato studioso David M. Guss abbia avuto accesso alle sue memorie (grazie alla moglie e al circolo di scalatori scozzesi che per anni aveva custodito i suoi diari) ha permesso di ricostruire nel dettaglio gli episodi di cui Cram fu protagonista in una biografia che ha il passo di un grande romanzo.

Sino a oggi le vicende di questo «uomo in fuga» erano state soltanto in parte accennate in una relazione del MI9 e in due libri, Horned Pigeon di George Millar e Colditz Last Stop: Eleven Prisons, Four Countries Six Escapes di Jack Pringle. La storia di Cram ha dell'incredibile ed è degna di essere paragonata a classici della letteratura di guerra come La grande fuga, Il cavallo di legno, Fuga sul Kenya (dell'italiano Felice Benuzzi) e Colditz, la grande evasione. Ed è proprio l'autore di quest'ultima opera, Pat R. Reid, a spiegare come si sentivano i militari inglesi che riuscivano a scappare: «Quando si fugge si cerca la solitudine, la solitudine dell'animale braccato! Ma anche per il fuggitivo giunge il momento in cui, sopraffatto dalla fame e dalla stanchezza, si lascia andare per ottenere un po' di quella compagnia perduta, fosse anche quella di altri prigionieri. Questo è il punto cruciale: siamo in grado di sopportare la solitudine o non possiamo fare a meno degli altri?». E se forse il desiderio di solitudine non fu ciò che spinse Alastair Cram ad evadere così di frequente, di certo fu un'attitudine che gli tornò utile. Come spiega David M. Guss, le fughe del tenente scozzese «finivano con l'assomigliare tutte a delle escursioni. Gli altri fuggiaschi di solito utilizzavano treni e autobus, ma Alastair preferiva sempre camminare e, dove possibile, arrampicarsi. Tornò sulle cime che aveva esplorato negli anni Trenta, spesso come guida. Avrebbe in seguito considerato l'alpinismo e la fuga come due attività facenti parte dello stesso processo, ognuna volta a una simile catarsi liberatrice che spezzava ogni limitazione e faceva svanire la paura».

Negli stessi diari in cui Alastair Cram racconta nel dettaglio come incontrò David Stirling (il fondatore dello Special Air Service) e come insieme riuscirono ad architettare un'evasione di massa dal carcere di massima sicurezza di Gavi, in Italia, scopriamo che l'ufficiale britannico aveva una visione singolare dell'esistenza: «Siamo tutti prigionieri

all'interno del filo spinato delle limitazioni con la paura e il desiderio a farci da sentinelle e a impedirci di essere liberi. Lusso, comodità, bramosia, superbia sono le autorità che detengono il potere sullo spirito dell'uomo».

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