«Amo, a 60 anni ecco il mio tour dei record»

RomaL'umida bolgia, praticamente una serra, del Palalottomatica battezza l'impressionante Amo Tour di Renato Zero. Quindici date romane nell'arco di un mese, si chiude il 22 maggio, che stabiliscono il nuovo record di permanenza (battuta la Pausini) in un palasport italiano. Son tutti belli (e qua) i sorcini del mondo tra splendide cinquantenni in ghingheri e militanti dai tempi di Ciao Nì. Renato ha chiamato a raccolta e loro si presentano equipaggiati con cappellino intonato alla bianca copertina di Amo, di cui sanno già a memoria le canzoni. Gia, l'ultimo album. Renato si è ormai lasciato alle spalle la sindrome d'accerchiamento e può dunque esibirsi in un repertorio più rilassato. Le cavalcate impazzite di Triangolo sono un ricordo del passato che però serviranno a mantenere calda l'atmosfera. Eccome. Si parte con il medley al piano, giusto per dare in pasto qualche classico. Attacca La Favola Mia e l'immacolata Uomo No. C'è atmosfera, voce in gran spolvero su sfondo fucsia. Accompagna un' orchestra gagliarda, gli «amorini», in completo bianco. È il turno di Arrendermi Mai, c'è un forziere di ricordi da scassinare che solo lui, Baglioni e Roby Facchinetti possono permettersi il lusso di vantare. Troppa grazia, si torna sulla terra con il nuovo. Chiedi di Me è un brano così così che ha la sua forza nella pugnace ritmica; servono grossi woofer e infatti dal vivo funziona meglio che alla radio. Accompagnano le coreografie di Bill Goodson, belle e divertenti. Tira il fiato, 60 primavere si fanno sentire e arrivano Il Nostro Mondo e la dolcissima Angelina, dedicata alla storica portinaia. Questo è il nuovo Zero, un tenerone. In scaletta c'e quasi tutto Amo, forse un po'troppo per chi si nutre del suo mito. La seconda parte è tutta un'altra storia, Morire qui e Baratto scatenano il pubblico, le cavalcate saranno pure ricordi, ma se Renato mette la retromarcia vien giù il palazzetto. Col mito si vince facile. Sfoggia costumi meravigliosi realizzati da Cavalli e da Mayer, l'effetto è amarcord con tutte quelle piume e pailettes. Non sono più le stravaganze dei Settanta, peraltro in mostra al palazzetto, ma pacate rivisitazioni. «Romani, imparate ad amare di più, io ora finalmante a 60 anni l'ho capito». In prima fila c'è il sorcino Panariello in estasi. Renato stuzzica Napolitano: «Ma quando si decide a farmi cavaliere?». Ha un cuore grosso così. Su uno schermo rosso passano i nomi di alcuni grandi musicisti che non ci sono più e che sono stati dimenticati: Mike Francis, Totò Savio, Demetrio Stratos, Stefano Rosso, Mino Reitano, Piero Ciampi. E Giancarlo Bigazzi che prima di andarsene gli ha scritto Un'apertura d'ali, il momento migliore di Amo. Applausi e si ricomincia per il finale. Si andrà avanti fino a mezzanotte dopo tre ore di musica.

Con il sottofondo di I Migliori Anni della nostra vita (ma quando si deciderà a inserirla nelle compilation?) fa finta di andare. Macché, in scaletta altri tre bis che aumentano il battito cardiaco: Il Carozzone, Madame e il Cielo. Che notte.

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