Cultura e Spettacoli

Gli arditi all'attacco della storia con pugnale e bombe a mano

Prima rivoluzionarono la guerra di trincea, poi irruppero nella politica. Per questo furono più temuti che amati

Gli arditi all'attacco della storia con pugnale e bombe a mano

Bomba a mano, pistola, meno il fucile, inutile negli attacchi improvvisi e a breve distanza nelle trincee del nemico. Spesso il pugnale o la vanghetta (utilissima di taglio per spaccare crani), qualche volta il lanciafiamme e degli - allora - futuristici progenitori del mitra, le Fiat modello 1915 (più note come Villar Perosa). Sempre un coraggio sovrumano.

Questo quello che gli Arditi della Prima guerra mondiale portavano con sé per trasformare quella che, sino ad allora, era stata una guerra di massa, e di logoramento, in una guerra fatta di colpi di mano e di incursioni imprevedibili e inarrestabili. Sulla nascita di questi reparti c'è una data ufficiale. A stabilirne la creazione fu la Circolare Comando Supremo n. 111660 del 26 giugno 1917. Oggetto: Riparti d'assalto. L'idea della loro creazione era venuta al colonnello Giuseppe Bassi, che aveva subito avuto l'appoggio del generale Francesco Saverio Grazioli e del comandante della 2ª armata, Luigi Capello. Ma i primi reparti, vuoi per le necessità addestrative vuoi per qualche litigio sulla giusta attrezzatura, furono in grado di operare solo dal 29 luglio del 1917.

Non era un'idea completamente nuova. I tedeschi avevano fatto scuola sin dal 1915 con le loro squadre di fanteria d'assalto (gli italiani ne proveranno l'efficacia durante lo sfondamento di Caporetto). E anche gli italiani avevano le, così dette, «compagnie della morte» specializzate negli attacchi di sorpresa e nella distruzione dei reticolati. Ma con gli Arditi si arrivò ad un livello di specializzazione mai raggiunto, almeno in Italia. E con risultati mirabili. A esempio il 4 settembre 1917 presero completamente di sorpresa le truppe austro-ungariche del Monte San Gabriele, un'altura di 646 metri a nord est di Gorizia. A lungo gli attacchi italiani contro quella roccaforte erano falliti. Ma quel giorno gli asburgici dovettero fronteggiare un attacco diverso, insinuante, rapido, non di massa, anzi puntiforme. Piccole improvvise incursioni, esplosioni, lanciafiamme, fanti col coltello spuntati all'improvviso. E dovettero cedere. Fu il primo di una serie di successi. Gli Arditi divennero un mito nell'immaginario collettivo e risollevarono il morale degli esausti soldati italiani. Anche a Caporetto furono al centro di ogni sacca di resistenza. E poi sul Piave.

Ma, come ogni reparto ad alta efficienza, dopo la guerra iniziarono a far paura. La politica li considerava delle mine vaganti. Forse non a torto. Molti parteciparono all'occupazione di Fiume guidata da D'Annunzio. Molti aderirono al primo fascismo. Altri aderirono al bolscevismo formando gli Arditi del popolo, giocando alla guerriglia con i loro ex camerati. Era nato il così detto «arditismo»: un modo di intendere l'esistenza più che un colore politico.

Comunque li si guardi, gli Arditi sono un pezzo di storia ma in Italia non li si ama molto. Sarà l'identificazione, erroneamente univoca, con il fascismo.

O forse sono semplicemente troppo eroici, troppo anticonformisti per un Paese che ama le mezze misure.

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