Tocca inventarsi di tutto per tenere desta l'attenzione su una fiera d'arte. Per quanto risulti prestigiosa, raffinata, internazionale, alla fine il meccanismo è sempre lo stesso: una sequenza di stand in cui le gallerie espongono il meglio (o almeno ciò che ritengono tale) delle loro proposte, nella speranza di catturare l'interesse e il denaro dei collezionisti. Meglio se stranieri, che viaggiano con il contante in tasca e meno Iva da versare. Beati loro.
A Torino in ventotto edizioni Artissima ha visto progressivamente consolidare il proprio posizionamento internazionale, costringendo così i competitor italiani a inseguire sullo stesso terreno. Nei quattro giorni al Lingotto (da giovedì 31 ottobre a domenica 3 novembre) ci si aspettano novità e freschezza, ottima medicina all'albagia torinese. Per contrastare i mugugni dei galleristi locali (che poche settimane fa su Repubblica hanno descritto una situazione deprimente) ci vogliono i sorrisi di Ilaria Bonacossa. La direttrice, confermata fino al 2021, è persona solare e positiva, dal femminile prorompente che, non temendo i rischi, s'interroga su quanto possa essere sexy l'arte contemporanea. Un ottimo claim: giornalisticamente parlando, il sesso tira sempre; il senso privilegiato dell'arte, peraltro, è la vista e fruire delle opere come dentro un immenso peep-show non è poi così azzardato.
Poiché le fiere d'arte ormai assomigliano al salone del mobile, dove l'off è più interessante dell'in, uno degli eventi che si annuncia come super cool è la mostra Abstract Sex in centro città, nella storica boutique Jana. La moda, in quanto contenitore del corpo, risulta la scultura di noi stessi, pertinente dunque. Non vedremo pornografia ma lievi sfumature per viaggiare con l'immaginazione.
Il programma torinese resta di primissimo ordine, cominciando dalle fiere collaterali che sono cresciute incontrollate: chi cerca i giovani visiterà «Dama» e «The Others», i raffinati li troveremo da «Flashback», i bibliofili a «The Flat». E sabato sera, in coincidenza con il derby Torino-Juventus, le gallerie aperte fino a tardi.
Volendo invece privilegiare la sostanza al bla-bla dell'evento, tre mostre innanzitutto. La collezione di Ernesto Esposito al MEF, in un percorso chic che parte da Von Gloeden e arriva a Andy Warhol; la personale di Emilio Prini alla Fondazione Merz, rarità assoluta perché dell'enigmatico, surreale e sarcastico, laterale più che vicino all'Arte Povera, non si sono mai viste tante opere tutte insieme. Ottima anche la scelta della Fondazione Sandretto di dedicare a Berlinde De Bruyckere un'ampia personale. La scultrice belga, magari non popolarissima ma il cui lavoro ha raggiunto la piena maturità, sa emozionare con opere finalmente universali sulla condizione dell'uomo.
Se avanza tempo, per chi arriva da
fuori, potrebbe non essere male Monica Bonvincini (italiana berlinese, discontinua) alle Ogr, e vale la pena spostarsi fino al Castello di Rivoli (dove ci sono diverse mostre) che sembra tornato a marciare a pieno regime.
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