Assassinio, bugie e politica Indagine nel ventre del Pci

Nel thriller «La provvidenza rossa», Festa racconta un fattaccio che porta a un'inchiesta interna al Partito. Dove insabbiare conta più che scoprire

Assassinio, bugie e politica Indagine nel ventre del Pci

Gli anni di piombo. La tensione tra destra e sinistra che spezzava in due un Paese che era sulla linea di frontiera della Guerra fredda. La particolare condizione di un partito comunista, come quello italiano, costretto a barcamenarsi tra il fatto di essere inserito nell'arco costituzionale - e spesso ben inserito negli organi delle amministrazioni locali - e l'aver comunque coltivato a lungo fantasie rivoluzionarie e una fedeltà, ben pagata, al mondo sovietico. E per di più con la paura di essere scavalcati a sinistra da avventuristi e teste calde, che venivano etichettati non senza ambiguità come «compagni che sbagliano».Questo è un sunto, breve e quindi parziale, della situazione italiana anni Settanta ma a pensarci bene è anche l'ambientazione perfetta per un romanzo giallo. Pochi luoghi e pochi periodi storici sono stati torbidi come la cosiddetta notte della Repubblica.

Molti scrittori infatti ne hanno approfittato basti pensare a quello che ormai è un classico come Romanzo Criminale di Giancarlo De Cataldo. Lodovico Festa nel suo La provvidenza rossa (Sellerio, pagg. 528, euro 15) però fa qualcosa di più. Giornalista (tra i fondatori del Foglio) e scrittore, Festa è stato, sino al suo scioglimento, un dirigente del Pci milanese. Ed è proprio nelle pieghe del Pci meneghino che ambienta questo thriller in cui l'indagine è un vero e proprio viaggio dentro lo zeitgeist della Milano che si affacciava con fatica agli anni Ottanta e dentro i meccanismi della più militarizzata delle forze politiche italiane.La trama si dipana a partire da quello che parrebbe un banale fattaccio di cronaca nera. Nella zona di Corso Sempione viene uccisa, a colpi di mitra, una fioraia, Bruna Calchi. La Calchi, una bella ragazzona, dalla vita sessuale piuttosto allegra, sembrerebbe, almeno è da lì che inizia a muoversi la polizia, finita in mezzo a qualche affare di bassa criminalità. Del resto a Milano in quegli anni scorrazzavano gli scagnozzi di Epaminonda, Turatello e Vallanzasca.

E anche un sacco di loro emuli di minor spessore. Però la Calchi era anche una delle pasionarie della locale sezione del Pci e nel partito decidono di far partire una bella indagine interna. Non si sa mai, si va dal rischio della provocazione fascista al rischio che ci siano dei panni sporchi che è meglio lavare in casa. Ecco perché la faccenda viene affidata a due dei probi viri del partito, il vecchio partigiano Peppe Dondi e il suo vice, il giovane ingegner Cavenaghi (che è poi la voce narrante del romanzo). In breve il metodico Cavenaghi, che dell'uomo d'apparato di partito ha tutti i pregi e tutti i difetti, capisce subito che c'è del marcio: a partire dall'arma del delitto che rimanda a delle prede belliche da cui i partigiani non avevano voluto separarsi (casomai fosse scoccata l'ora della rivoluzione). Inizia così una doppia caccia al colpevole dove gli uomini del Partito sono sempre un passo avanti alla polizia. E il loro scopo diventa rapidamente quello di evitare scandali più che il fare giustizia. Raccontare più di così sarebbe fare un torto al lettore, trattandosi di un noir.Il pregio principale del libro però sta altrove. I fatti sono ovviamente inventati ma la ricostruzione delle dinamiche fatta da Festa è da vero insider.

Nel libro rivivono tutti i rituali, i linguaggi, le anime del Pci. A partire dalla frattura tra la massa del partito («l'anima») e la freddezza degli apparati che quell'anima dovevano irregimentare. Sullo sfondo passano militanti un po' ingenui ma appassionati, sindacalisti consci dei danni che i sindacati stanno facendo alle imprese italiane, intellettuali che usano il partito come un trampolino, squadrette di fedelissimi pronte a eseguire i lavori sporchi, gente d'apparato abituata a gestire qualunque cosa, anche i rapporti coi massoni e i gesuiti.

C'è chi è comunista per moda, chi per tradizioni, chi per interesse, e anche chi inizia a non sapere più perché è comunista. Ne esce un quadro di grande verismo, mai banale e che affonda ogni mitizzazione del Pci. Pur riconoscendone anche la (amara) grandezza.

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