Aveva la verve caricaturale dell'«emigrante sboccato»

Di Lernia ha conquistato radio e tv con la sua «ironia dialettale». Un pop ai confini del volgare

Aveva la verve caricaturale dell'«emigrante sboccato»

Stavolta non si scherza. Leone Di Lernia se ne è andato ieri mattina dopo un calvario fulminante come le sue battute, nonostante la malattia lo perseguitasse da molto tempo. Gli mancava poco più di un mese per compiere 79 anni e aveva resistito fino a domenica scorsa per telefonare, sofferente assai, a Domenica Live chez Barbara D'Urso su Canale 5. È stato, bisogna dirlo, un eroe del trash, un personaggio unico perché ha fatto propria quella zona d'ombra compresa tra ironia e postribolo, traducendo l'attualità con un codice stilistico oggettivamente inimitabile. Le sue categoria erano quelle basiche legate ai difetti fisici, al sesso e alla ricchezza, nebulizzando quasi per dovere estetico qualsiasi riferimento etico o religioso. Così è diventato una icona, quasi un termine di paragone, un sinonimo di trash o kitsch. Per capirci, in veste di cantante (cantante?) aveva firmato brani super cult tipo Ra ra ri ra ra, pesce fritto e baccalà (adattamento di Gypsy Woman) o Chille che soffre (Killing me softly), Magnando (Bailando) o il maranzissimo Foggia Style (Gangnam Style). Era di Trani e quindi vantava, come Lino Banfi o Checco Zalone o altri, una cadenza dialettale che si piega agilmente allo sberleffo e al calembour più triviale, quello a metà tra caserma e bar.

Dopotutto non era certamente un personaggio disposto a stare alle regole e difatti era stato persino sospeso a tempo indeterminato per «condotta indisciplinata» dal programma più indisciplinato della radiofonia italiana, Lo Zoo di 105.

Era, insomma, una mina vagante che però ha fatto esplodere risate per quattro decenni, diventando un personaggio di culto (e che culto: straordinaria la dimostrazione d'affetto per lui ieri sui social) quando in realtà avrebbe voluto essere soltanto un cantante. Aveva debuttato come «urlatore», pensate un po', al cosiddetto Festival dell'Urlo al Teatro Maestoso di Roma con Little Tony e Jo Fedeli, anno di grazia 1961, e da lì in avanti aveva arrancato faticosamente e spiritosamente su tutti i gradini della gavetta, pubblicando tanti dischi invenduti ma vendendo bene una immagine che funzionava più al Nord che al Sud. L'emigrante volgare. Il portavoce delle chiacchiere dei peggiori bar pugliesi.

Difatti a Milano è rinato, prima facendo tante serate, poi diventando lentamente riconoscibile al pubblico grazie a una tattica che poi molti gli avrebbero copiato: alla domenica era il «guastatore» di Novantesimo Minuto, appariva sempre dietro le spalle dell'inviato che commentava le partite di San Siro. E quella figura, un volto rotondo con due occhialoni demodè, iniziò a diventare familiare al punto da sbarcare su Radio Montecarlo al Fausto Terenzi Show. Era il 1993 e da allora i suoi brani parodia sono diventati tormentoni sotterranei tranne Disco Hauz che nel 1993 sbarcò addirittura in hit parade. I suoi cd erano perfetti per il mercato pirata e quindi gli hanno fruttato solo popolarità, mica denaro e neppure carriera politica visto che fallì nel 1997 alle Comunali di Milano del 1997 per la Lega D'Azione Meridionale di Giancarlo Cito. Però era ormai diventato un simbolo, essendosi trasformato in un copione. Non recitava un ruolo, era se stesso. Con questo passepartout, e con tormentoni come Tu sei ignorante (da Zombie) e Bevi stu chinotto (da Get it on), entra nel suo brodo di coltura ideale: Lo Zoo di 105 con Marco Mazzoli, Fabio Alisei eccetera. Anarchia pura. Volgarità e provocazione. Ma anche creatività istintuale. Insomma Leone Di Lernia era diventato un caso e ben poco gli è servito partecipare all'Isola dei Famosi Honduras nel 2006 in sostituzione di Massimo Ceccherini oppure condurre su Sky il programma Leone Auz.

La sua verve caciarona, priva di qualsiasi confine di gusto, irrituale e irriverente ma mai ideologica, era un punto di forza dello Zoo e, quasi per osmosi, è entrata nell'immaginario collettivo delle ultime generazioni, scatenando le peggiori reprimende della critica (la stessa che oggi gli garantisce l'omaggio postumo) ma raccogliendo un enorme e sincerissimo consenso popolare come capita sempre a chi parte dal basso e non cambia guardaroba una volta arrivato in alto.

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