La bacchettata

La bacchettata

Quando ascoltavo due settimane or sono la registrazione della poderosa Totentanz (2013), commissionata al compositore inglese Thomas Adès in memoria dell'insigne collega polacco Witold Lutosawski e della moglie Danuta, giravano ancora battute su come ci si sentiva nel Medio Evo, avendo due Papi e una pandemia. Immaginare una macabra apocalisse musicale come coltivare pensieri diversi dalla fiera delle vanità di massa sembrava un atteggiamento quanto meno da menagramo. Oggi più di ieri la danza macabra di Adés sembra la profezia che è. L'autore, Artist Partner della Boston Symphony Orchestra dal 2016, dirige con implacabile vigore la sua cantata su un testo anonimo ispirato ad un capolavoro dell'arte tardo-gotica: la tela che Bernd Notke dipinse per la Marienkirche di Lubecca, dove lo scheletro della morte invita alla danza tutta la società, potenti e umili. Testi che fanno riflettere. La Morte domanda all'Usuraio: «Esigo ciò che resta di te come mio interesse. Paga adesso! Metti giù il borsellino, è un carico troppo pesante». Il ciclo di Lubecca, una tela lunga 26 metri che ammoniva le famiglie mercantili più ricche all'interno del proprio mausoleo, venne distrutta dal bombardamento alleato del 42. Adés riprende lo schema pittorico della danza della morte in un lugubre rondò musicale, dove la Morte (con la voce del baritono Mark Stone) miete con declamato berghiano Papa e Imperatore, Lavoratore e Contadino, Cardinale e Monaco, Medico e Usuraio, Fanciulla e Bambino.

Questa Società ha lingua camaleontica di un soprano (Christiane Stotjin), che oppone un vano rifiuto negli alti gradi all'ineluttabile ballo, mentre lo accetta fatalisticamente in quelli più umili. Una ballata che si addormenta con struggente dolcezza mahleriana in un finale senza fine: «O Morte, come posso capire», chiede il Bambino alla Livella. «Non posso camminare e devo ballare!».

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