Balordi, miliardari e misteri Ecco il libro nero del Festival

Ricostruiti gli scabrosi retroscena della kermesse musicale inventata per valorizzare e portare clienti al Casinò

Balordi, miliardari e misteri Ecco il libro nero del Festival

Perché Sanremo è Sanremo? Non è soltanto la sigla del Festival della Canzone ma, aggiungendo un interrogativo, è anche il mistero che hanno cercato di svelare Romano Lupi e Riccardo Mandelli con Il libro nero del Festival di Sanremo (Odoya). Il lavoro dei due autori liguri ripercorre la storia della rassegna canora, partendo dagli inizi del 900 da quando si costruisce il primo Casinò italiano, che diventa subito un centro di spionaggio, ricatto, finanziamento occulto e riciclaggio. L'intenzione dei primi gestori, come Lurati, è quella di far diventare la casa da gioco un punto nevralgico per attirare magnati e miliardari da tutto il mondo, scippando lo scettro alla vicina Costa Azzurra. Come scrivono gli autori: «l'Italia avrebbe dovuto assumere il primo posto come paese del divertimento, del gioco, dello spettacolo e dell'assenza di pensieri tormentosi. Il regno dell'illusione. La formula paradiso, replicata in tutto il mondo fino a oggi con i necessari adattamenti, sembrava sul punto di trovare proprio qui da noi la massima espressione». Dove circola una montagna di denaro, ovviamente, i traffici illeciti proliferano ovunque. L'editore musicale Suvini e Zerboni per far lievitare i propri profitti si dedica ad un giro di scommesse raccolte tra una rappresentazione e l'altra. Trame occulte influenzano la vita nazionale e quella del mondo intero e al centro si trova il tempio dell'azzardo. Giochi di potere, anche durante il fascismo, creano una stretta relazione tra spettacoli e gioco d'azzardo. Sono gli anni in cui l'edificio del Casinò è frequentato dai fratelli De Filippo, insaziabili giocatori d'azzardo, e si organizza un Festival di Musica Partenopea che nella sua struttura è da considerare il progenitore dell'attuale kermesse canora. Il primo ad avere l'idea di un Festival della Canzone Italiana è Amilcare Rambaldi, commerciante di fiori, che aveva rischiato la fucilazione. Per concretizzare l'intuizione di Rambaldi, il giornalista Angelo Nizza «cominciò così a lavorarsi il nuovo gestore del casinò, Piero Busseti, e alla fine riuscì a convincerlo che l'idea di un Festival della Canzone non era poi malvagia. Quindi Nizza attivò i suoi amici della sede Rai di Torino, primo tra tutti Nunzio Filogamo».

Alla terza edizione, nel 1953, la manifestazione canora era ormai un successo consolidato. In questa festa dello show business con sempre più frequenza si parla di droga, lavorata da famose case farmaceutiche, anche se «il traffico di sostanze stupefacenti esisteva già negli anni Venti, e il nostro Paese ne era un nodo fondamentale» e del mercato dell'illecito che ruota dentro e intorno al Casinò. Entrano in scena personaggi loschi, faccendieri, la Gladio, Lucky Luciano, Angelo La Barbera, Salvatore Greco, Giuseppe Bono, Gaetano Badalamenti, Tommaso Buscetta e Joe Adonis, potente mafioso italo-americano della famiglia Genovese. Durante il suo soggiorno obbligato nelle Marche, secondo quanto riportato nel libro, «secondo un biscazziere che lo conosceva bene erano intanto passati a salutarlo Dori Ghezzi, Ombretta Colli, Lauretta Masiero, Johnny Dorelli». A gestire il Casinò ritroviamo Rinaldo Masseroni, già presidente dell'Inter, e con lui Achille Cajafa, soprannominato vero dittatore della canzone. Si fa sempre più pressante il dubbio che una vittoria del Festival sia frutto di manovre sottobanco. Il racconto ci riporta alla mente i brogli denunciati a gran voce da Claudio Villa, l'era dei patron Ravera e Radaelli, le loro guerre contro le case discografiche, le ammissioni alla gara (si dice) vendute a suon di milioni, le irregolarità amministrative e altri reati connessi.

Arriviamo alla triste pagina della morte di Luigi Tenco dopo l'esclusione della sua Ciao amore ciao, con Gianni Ravera che farfugliò in stato confusionale: «Bastava che me lo dicesse e sarebbe passato in finale». Leggendo le documentate pagine di Lupi e Mandelli si arriva al Festival del 1975 vinto da Gilda con Ragazza del Sud, pupilla di Napoleone Cavaliere, patron della manifestazione, in cui il posto di un notaio fu ricoperto da un figurante cinematografico. Quindi è l'era di Adriano Aragozzini, condannato e carcerato per tangenti pagate ad amministratori e politici locali per ottenere l'organizzazione. Fece scalpore la presa di posizione di Gino Paoli che scese in campo per difenderlo.

Lungo la cavalcata musical-scandalistica di 300 pagine appare anche il nome di Lele Mora, chiamato a riorganizzare le sorti balneari di Sanremo. Insomma Il libro nero del Festival di Sanremo è un testo che tenta di colmare il vuoto lasciato da quella informazione che non indaga più a fondo e non va oltre le patinate apparenze.

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