"Basta iper tecnologia È la chitarra acustica la rivoluzione del pop"

The Lumineers, la band (candidata anche ai Grammy) rilancia i suoni folk: "Eravamo vagabondi spiantati, ci ha salvato la tradizione"

"Basta iper tecnologia È la chitarra acustica la rivoluzione del pop"

Intanto non sono rock. Ma (spesso) lo sembrano: per intensità, ritmo e freschezza degli arrangiamenti. Basta ascoltare il loro singolo Ho hey, che da undici settimane è in classifica da noi: le chitarre sono acustiche ma quel brano ha grinta e positività da vendere. Trainati dal boom dei Mumford & Sons, gli americanissimi Lumineers sono la rivelazione del cosiddetto nu folk, il folk che parte dalla tradizione e ci aggiunge un po' di appeal pop. Loro ce l'hanno. «Sul serio? A scuola mi dicevano sempre che ero uno sfigato pazzesco», dice il cantante Wes Schultz che ha un faccino acqua e sapone come va di moda. I Lumineers sono in tre: due vecchi amici uniti da una tragedia e una ragazza che suona il violoncello. Hanno alle spalle una gavetta, fatta di sogni e localacci, che dalla periferia di New York li ha portati a Denver, Colorado, molto più economica e salutare, dove hanno inciso l'unico (finora) disco. E se ora negli States sono quasi star il merito è (anche) della tv, visto che i loro brani sono finiti nella colonna sonora di Vampire diaries o Heart of Dixies quando ancora li conoscevano in pochi. «Ho capito, ma adesso mi direte che siamo un prodotto televisivo?». Per carità.
Di certo avete tirato la cinghia per quasi dieci anni prima di riuscire a incidere un disco.
«Eravamo a Ramsey nel New Jersey. Vivevamo immersi nella musica».
Non solo in quella, pare.
«A un certo punto Joshua, il fratello del batterista Jeremiah, è morto di overdose e il mondo per me improvvisamente è diventato complicato. Eravamo cresciuti insieme, eravamo in classe insieme, ci ubriacavamo insieme. Ancora oggi la musica dei Lumineers porta le cicatrici di quel dolore».
Spesso le cicatrici nobilitano le canzoni.
«Allora noi suonavamo una sorta di alternative rock e molto dark. Poi la vita e il dolore ci hanno portato lontano da lì».
E anche lontano da New York.
«Per vivere laggù dovevamo continuare a chiedere soldi ai nostri genitori. Denver è più economica. Ed essendo da soli, ci siamo rimboccati le maniche».
Diventando una delle rivelazioni del 2012.
«Ci piace una forma di folk che deriva dal passato e che vogliamo attualizzare. In fondo i nostri modelli sono Tom Petty, Springsteen, Ryan Adams, The Cars. O Leonard Cohen: pochi sanno scrivere canzoni intense come sa far lui».
Nel vostro disco ci sono strumenti come mandolino e ukulele. Ma pochissima tecnologia.
«I campionamenti, i loop, insomma l'eccesso di tecnologia non è più così innovativo».
In effetti.
«Oggi lo strumento rivoluzionario è la chitarra acustica. E la spontaneità. All'inizio volevamo dimostrare quanto eravamo bravi e perdevamo immediatezza. Oggi abbiamo capito che conta l'emozione che trasmetti, non come la trasmetti».
Sembra un discorso da musicista di lungo corso: invece ha appena trent'anni.
«I Lumineers hanno iniziato suonando in piccoli posti senza microfono e soltanto con strumenti acustici. Non c'è miglior scuola di quella».
Però, per farvi notare, anche voi avete avuto bisogno di un traino.
«Intende l'enorme successo di Mumford & Sons?».
Eggià.
«In fondo, anche se loro sono inglesi, abbiamo sonorità molto simili e suonaimo tutti strumenti prevalentemente acustici. Perciò è ovvio che mi faccia piacere il paragone».
Però?
«Però non siamo la stessa cosa.

Lo so che a tutti faccia comodo usare delle categorie, ma il tempo dimostrerà che Lumineers e Mumford & Sons non sono poi identici. Ora ci siamo solo sgranchiti le gambe. Con il prossimo disco allungheremo le distanze».

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