Emanuele Ricucci
Bobby Sands campeggia in copertina. Sorridente, su un murales, protetto dalle sue parole: «La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli». Eterno emblema di una battaglia di libertà, di un'idea antimoderna, radice, identità. Sullo sfondo c'è Belfast, quella di ieri, della guerra dell'IRA, l'Irish Republican Army, per l'indipendenza di un popolo, e quella di oggi, erede del sangue versato, dell'apparente fine delle ostilità. Quella «degli scontri, delle molotov e degli idranti della polizia. Della rabbia, ma anche delle speranze che gli irlandesi hanno per un futuro migliore». Sono passati più di 17 anni dal «Good Friday Agreement», gli accordi di pace firmati nel 1998 dal governo britannico e irlandese e 10 da quando l'IRAha annunciato l'inizio della distruzione degli armamenti. Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Robert Gerard Sands, volontario dell'ala nazionalista dell'IRA, la Provisional, nei blocchi H della prigione britannica di Long Kesh, stroncato da un estenuante sciopero della fame: lui e i suoi sodali repubblicani volevano vedersi riconosciuto dal governo britannico lo status di prigioniero politico. Settimane di agonia per entrare nell'immaginario collettivo come martire dei popoli in lotta, così come lo ha definito Fabio Polese, fotoreporter e giornalista freelance, autore di Strade di Belfast. Tra muri che parlano e sogni di libertà (Eclettica Edizioni, pagg.180, Euro 25).
Ma l'IRA esiste ancora? Questo libro, attraverso le storie dei protagonisti diretti, interviste e foto, prova a raccontare senza filtri la situazione attuale di una Belfast ancora ribelle. Il passato è difficile da dimenticare e la voglia di libertà è ancora incisa nel cuore di ogni repubblicano irlandese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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