Occhio che spuntano qui e là sempre più alti in classifica. Giovanissimi (età media suppergiù vent'anni). Stacanovisti (pubblicano dischi uno dietro l'altro). E liberi (nessun endorsement politico, manco ci pensano). È la nuova leva cantautorale che arriva dall'altro mondo, ossia da Regno Unito, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Qualcuno, come Tom Odell, è così rampante che persino David Letterman gli ha chiesto: «Posso farti da manager?». Dopotutto questo ragazzetto di Chichester nel West Sussex ha quasi tutto ciò che serve per far successo: le idee chiare e il disprezzo dei critici chic (il NME ha dato zero al suo debutto). Sarà per questo che il suo debutto Long way down è sbarcato direttamente al primo posto della classifica inglese sostituendo nientemeno che Jeezus di Kanye West. E oggi chiunque ascolti un po' di musica inglese sa che toccherà a lui essere il nuovo fenomeno. Carino è carino e non si tira indietro neanche di fronte alle difficoltà più grandi. Ad esempio, dopo essere stato licenziato come barista, ha implorato mammà di pagargli il viaggio a Londra per tentare la sorte. E oggi, a 22 anni, ha già vinto il Critics Choice Awards ai Brit, una specie di incoronazione per chiunque, figurarsi per un pivellino. Insomma, questi non fanno prigionieri. Ma parlano d'amore mica di massimi sistemi.
E forse il loro segreto è essere privi di riferimenti stilistici. Per loro vale tutto, mescolano stili, influenze, generi e ambizioni, dimostrando che le vecchie categorie musicali non esistono più. Lo conferma la quasi diciassettenne Lorde, nata ad Auckland e attualmente in rotazione su tutti i grandi network radiofonici anche italiani con la bella Royals, gemma acustica inclusa nel disco Pure Heroine che esce in questi giorni. Lei, che di certo non fa dell'aspetto fisico il suo punto di forza, è uno degli ultimi frutti della capacità delle major di investire: è stata scoperta a dodici anni da un talent scout della Universal e da allora non ha fatto altro che suonare, cantare, studiare e crescere. Lo ha fatto bene, visti i risultati: è stata la prima neozelandese ad avere quattro brani contemporaneamente tra i primi venti in classifica. E i giornali americani se ne sono già innamorati (vedasi Billboard). Ovvio, lei è più comunicativa e meno introversa di un altro prodigio che paga la diffidenza per il mainstream: Jake Bugg. Nato a Nottingham manco vent'anni fa è un ragazzo tendenza Gallagher: frangia ribelle, sigaretta continua, camicia di jeans, chitarra, nostalgia per il bel rock di una volta.
Almeno Ty Segall, che è nato a Laguna Beach in California e quindi è più mondano, è più attuale, come dimostra anche il suo nuovo disco Sleeper. Dovendo affibbiargli un marchia, il suo è quello dell'alternative rock, qualche volta noise, molto ispirato da grunge e post grunge al punto da fargli dire: «Il mio sogno è di fare un disco che mescoli Stooges, Hawkwind o Black Sabbath», insomma non proprio roba per palati fini. In ogni caso è inarrestabile: ha 26 anni e solo nel 2012 ha pubblicato tre dischi, uno più scatenato e scardinato dell'altro anche perché lui canta e, soprattutto, suona una chitarra scatenata, molto legata alla lezione di Sonic Youth e band newyorchesi anni Ottanta. Senza dubbio, al suo confronto Amos Lee, un altro molto omaggiato dalla critica, sembra di tutt'altro pianeta. Tranquillo, riflessivo, amante della tradizione e ricambiato dagli eroi della tradizione come Bob Dylan o Elvis Costello che se lo sono già portato in tour perché conquistati dal suo pacatissimo stile a base di folk, soul e qualche piccola intermittenza jazz. Il più vecchio dei giovani. O forse soltanto il più nostalgico. Comunque nuovo.
A dimostrazione che piccoli talenti crescono pure se la discografia è in rianimazione e la tv ha dettato regole musicali molto distanti dai loro spartiti. La musica, dopotutto, sa rigenerarsi molto meglio di quanto tanti critici pensino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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