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Al bivio tra speranza e nichilismo l'uomo scopre il vero cristianesimo

Il filosofo Kierkegaard e la scuola dell'angoscia ci conducono alla fede

Al bivio tra speranza e nichilismo l'uomo scopre il vero cristianesimo

L' angoscia è la condizione naturale dell'uomo e la «possibilità», o per meglio dire, la «scelta» è la categoria fondamentale dell'esistenza. Lo ripete Kierkegaard lungo tutta la sua produzione filosofica spiegandone le connessioni: «l'angoscia è lo stordimento che scaturisce dalla possibilità della libertà». L'uomo ha dinnanzi a sé la possibilità assoluta di poter sempre scegliere una via invece che un'altra ma questa opportunità, pur rivestendosi di un elemento positivo determinato dalla libera scelta, può aprire alla sconfitta. La tentazione della Mela ne è metafora. Adamo, tentato da Eva, morde il frutto dall'albero del Bene e del Male. Entrambi sapevano che coglierlo e mangiarlo fosse proibito ma non ne conoscevano i motivi. L'angoscia nasce dalla possibilità di poter fare: essa è la condizione della reale possibilità del peccato. Nel momento della scelta l'uomo realizza sé stesso ma comprende che potrebbe anche perdersi, perché dietro l'angolo c'è la possibilità del peccato. Pur tuttavia, per Kierkegaard solo l'angoscia e la disperazione aprono alla fede e tutto il cristianesimo va sempre messo in relazione con la «coscienza angosciata». Se la filosofia è mediazione e la fede è un prodigio, le due cose non possono mai conciliarsi. Non è un caso che egli consideri falso il cristianesimo filosofico di Hegel, cristianesimo snaturato che si ridurrebbe a cultura e, invece, esalti il Singolo («categoria con la quale sta o cade la causa del cristianesimo»).

Credere significa appunto andare per quella via buia e stretta dove regna l'oscurità. E per quella via c'è solo una scuola che offre gli insegnamenti per proseguire senza perdersi: la scuola dell'angoscia che si fonda sulle conseguenze sconosciute del credere in Dio e nell'atto di fede.

Kierkegaard vive una fase storica fuori dall'ordinario e si muove su premesse pessimistiche del quadro sociale. Si trova immerso nella Rivoluzione industriale con i suoi coetanei che paiono diventare via via meccanismi di un apparato più grande, in cui il lavoro del singolo può essere ripetuto all'infinito da una macchina che impiega meno tempo e produce di più. Ma, oltre alle contingenze sociali, manifesta il suo pessimismo soprattutto rispetto all'idea di delegare ad un contesto collettivo la Verità perché l'unico modo per trovarla è il rapporto diretto con Dio. Non c'è bisogno di intermediari perché il carattere paradossale della fede è che non può essere mai spiegata con la sola logica e la fede è fede nell'assurdo.

Di tutto ciò fa una fluida ricognizione Dario Antiseri in Kierkegaard e la scuola dell'angoscia (Mimesis). Oltre ad annotazioni sul fronte biografico (i rapporti col padre, con Regina Olsen, i colloqui col re Cristiano VIII), ai bersagli polemici (il vescovo Mynster, Hegel, la Folla, i giornali, la teologia scientifica, la tracotanza dello scientismo), Antiseri si sofferma sul concetto del «Singolo», sulla redenzione come categoria della disperazione e sulla fede come fede dell'assurdo, in nessun momento separando i tre temi da quello dell'angoscia esistenziale.

Il paradosso della fede risiede infatti nella capacità di trasformare un omicidio in un'azione santa. Mai nessuna logica filosofica potrà arrivare a spiegarlo perché la fede ha inizio dove termina il pensiero ma anzitutto dove entra in gioco l'angoscia: «Sul cammino della vita ognuno di noi scrive Antiseri si imbatterà inesorabilmente in un bivio dove sarà costretto a scegliere tra l'assurdo e la speranza. In quel momento, in quei giorni, la scienza tutta la scienza tacerà e non gli sarà d'aiuto la filosofia.

Appesantito da inutili spiegazioni, va alla ricerca di un senso su cui il sapere scientifico per principio resta muto e la filosofia, quando esplicitamente non lo nega, riesce a malapena ad aprirsi».

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