Cultura e Spettacoli

Bomber, pipe, scarpette dipinte, grandi penne E l'epica di Italia-Brasile 3-2 diventa un romanzo

Piero Trellini (ri)narra la partita del secolo (dopo Italia-Germania 4-3...)

Elia Pagnoni

Potrebbe essere uno scontro generazionale: tra chi ha dai 60 anni in su e chi viaggia verso i 50. E al centro una partita di calcio, anzi la partita di calcio, la partita del secolo. Per i primi non può che essere Italia-Germania 4-3 dell'Azteca messicano al Mondiale del '70, per gli altri, ma soprattutto per Piero Trellini, giornalista trasformatosi in scrittore di storie di sport, la partita è Italia-Brasile 3-2. Curiosamente nessuna delle due è stata una finale mondiale, eppure sono rimaste nella memoria collettiva come capisaldi della fede calcistica.

Dunque, anche se non tutti possono sposarne la scelta, La partita (Mondadori, pagg 607, euro 20) è il romanzo di Italia-Brasile di quell'assolato pomeriggio del 5 luglio 1982, quando al vecchio «Sarrià» di Barcellona, che oggi non esiste più, va in scena la partita che cambia la storia del calcio italiano del dopoguerra, quella che spalanca agli azzurri di Bearzot la strada verso la Coppa del mondo. Per Trellini Italia-Brasile diventa «la partita» perché può approcciarla con gli occhi di un dodicenne, ovvero «l'età perfetta per viverla all'apice del proprio entusiasmo sognante». Un po' come i sessantenni di oggi hanno invece vissuto Italia-Germania. Ma La partita di Trellini diventa un romanzo incredibile in cui riesce a raccontare 90 minuti in 600 pagine, un'opera mostruosa se la si riconduce unicamente a una partita di calcio, ma affascinante e scorrevole non appena ci si addentra in tutti gli intrecci costruiti attorno agli undici uomini in campo.

Una partita che sembra una sceneggiatura strutturata in cinque atti. Con personaggi e interpreti: un centravanti in cerca di rinascita (Rossi), un commissario tecnico con la pipa, criticato da tutti (Bearzot), un portiere quarantenne considerato ormai bollito (Zoff), un capitano che ha fatto la rivoluzione (Socrates), un centrocampista dai piedi buoni e doloranti con le scarpe dipinte dallo sponsor (Falcao) e attorno un'incredibile guerra di cronisti e testate, lo scontro tra filosofie calcistiche che arriva al suo apice tra giornalisti che diventano scrittori (Brera) e scrittori che diventano giornalisti (Arpino).

Tutto questo ruota attorno a Italia-Brasile, una sfida infinita che lega assieme quasi tutta la storia del calcio per arrivare alle storie parallele di un'infinità di personaggi, da Bernardini a Beppe Viola, dal Conte Rognoni a Horst Dassler, l'uomo che fece diventare l'Adidas un colosso mondiale. Il tutto fatto ruotare attorno alla partita del secolo, magari saltando di palo in frasca, ma poi tornando sempre inevitabilmente lì dove ci aspettano i tormenti del Vecio, le certezze di Tele Santana, il nervosismo dei calciatori e il leggendario silenzio stampa. E quella partita raccontata con mille sfaccettature e dovizia di particolari, dall'erba tagliata da un artista del trattore, all'asta degli occhiali di Bearzot rotta da Causio nell'impeto dell'abbraccio finale.

Una partita attorno a cui ruotano anche le storia del giornalismo italiano, con citazioni anche per nostri colleghi del Giornale come Caruso, Damascelli, Grandini, lo stesso Arpino che raccontò quel Mondiale sulle nostre pagine... Ma soprattutto Trellini riesce a descrivere i destini dei tanti personaggi che si incrociano attorno alla partita: dall'arbitro israeliano Klein scampato all'Olocausto, ma che perde il figlio in guerra dieci giorni prima della partita del «Sarrià», al presidente brasiliano della Fifa Havelange, figlio a sua volta di un professore scampato alla tragedia del Titanic...

L'unica cosa che non possiamo condividere di questa grande passeggiata nel mito calcistico è un passaggio dell'introduzione: «Credo davvero, come molti, che gli italiani si possano dividere tra quelli che hanno vissuto il Mundial dell'82 e quelli che sono nati dopo».

Non è proprio così: c'è anche chi è nato prima e ha visto Italia-Germania 4-3.

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