Per un attore romano calcare il palco del Sistina e affrontare la prova del «Rugantino» rappresenta un esame di maturità molto particolare. Innanzitutto perché si entra nell'Olimpo del teatro leggere e ci si trova a fare i conti con la commedia musicale italiana al massimo livello, la più rappresentata e di maggiore tradizione, un gioiello la cui brillantezza è facile cogliere semplicemente scorrendo la squadra storica degli autori: Garinei e Giovannini, Festa Campanile e Franciosa in collaborazione con Gigi Magni, oltre naturalmente alle musiche del grandissimo, indimenticabile Armando Trovajoli. In secondo luogo perché per colui che si cimenta con la storia dello sbruffone romano che si fa eroe per amore, il confronto - per dirla con Rugantino - è con il «non plus urtra» degli interpreti, attori come Nino Manfredi ed Enrico Montesano, solo per citare i più noti predecessori nel ruolo da protagonista. Infine perché con il doloroso passaggio generazionale - nel giro di pochi mesi una Roma dolente ha salutato colossi, poeti e cantori come Gigi Magni, lo stesso Trovajoli e Vincenzo Cerami - chi ha il merito di dedicare passione e dedizione a uno spettacolo così carico di cultura popolare, si assume l'onere di una responsabilità importante, diventando testimonial e custode di un retaggio che è dovere di tutti tramandare e tenere vivo.
Di tutto questo Enrico Brignano è ben consapevole e affronta la nuova edizione del Rugantino - che il Teatro Sistina mette in scena da questa sera fino al 9 febbraio, per passarlo poi in aprile agli Arcimboldi di Milano, nel mese di maggio al teatro Verdi di Firenze e a giugno al New York City Center per festeggiare i 50 anni della prima rappresentazione a Broadway nel 1964 - con lo spirito scanzonato ma non troppo di chi sa di poter sopportare un peso soltanto facendo ricorso all'umiltà e alla leggerezza.
Avviene così che la regia di Garinei e Giovannini venga ripresa dallo stesso Brignano e, per rispetto alla fedeltà del testo, attraverso il ricorso al primo copione originale. Oppure che il Sistina e il suo direttore artistico Massimo Romeo Piparo, vero uomo di teatro (e di musical) decidano di far tornare «in buca» una grande orchestra dal vivo. E ancora che ci si concentri su cast omogeneo e promettente con Serena Rossi (Rosetta), Paola Tiziana Cruciani (Eusebia), Vincenzo Failla (Mastro Titta), e poi ancora, Michele Gammino (per capirci la voce di Harrison Ford, Jack Nicholson oppure Richard Gere in Pretty Woman), Mario Scaletta, Simone Mori, Valentina Spalletta, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Armando Silverini, Silvana Bosi, Alessandro Cavalieri. Ma la cura e l'attenzione si vede anche in altri «dettagli». Ad esempio la presenza di due vocal coach come Roberto Colavalle e Donatella Pandimiglio (voce straordinaria, legata negli ultimi anni alle produzioni teatrali della premiata coppia Piovani-Cerami), incaricati di esaltare ogni dettaglio di canzoni come «Roma nun fa la stupida stasera», «Tirolallero», «Ciumachella de Trestevere» o «E' l'omo mio». Oppure che si proceda al recupero dei costumi e delle scene di Giulio Coltellacci.
Sì, perché il Rugantino è anche uno spettacolo storico, ambientato in un'epoca tormentata per Roma e i suoi abitanti, sotto uno stato pontificio accusato dal popolo di non «mollare» i privilegi. Una città di 150mila abitanti o poco più, dove tutti sanno tutto, le notizie corrono veloci e si gonfiano a suon di chiacchiere con i suoi personaggi che fanno divertire e commuovere, fra mascalzonaggine e bontà, simpatia e boria. Il popolo subisce e può solo borbottare mentre Rugantino, no, lui «ruga» e «mozzica» pungendo e prendendo in giro tutti, sfogando la sua voglia di vivere con piccoli e grandi bravate che finiscono, forse inevitabilmente, per renderlo vulnerabile. «Sarà uno spettacolo per tutti, anche per i ragazzi delle scuole: vogliamo divulgare la storia di Rugantino, ma soprattutto la storia di Roma. Dobbiamo far capire cosa sono i sanpietrini, la ghigliottina, la morra, la passatella, i barbieri che facevano i salassi» spiega Brignano. «Utilizzeremo le scenografie e i costumi di Coltellacci e alcuni elementi di cinquanta anni fa, come i fondali dipinti. Addirittura nelle prove abbiamo utilizzato i pantaloni di Aldo Fabrizi...La messa in scena che ho tentato di fare è una sorta di architettura teatrale per ricreare lo spirito della Roma papalina».
Chi non sarà dietro le quinte o sulle poltrone del Sistina ad assistere alla prima dello spettacolo sarà, purtroppo, Armando Trovajoli, scomparso nel marzo scorso. Brignano lo ricorda così. «Quando ce l'avevi di fronte sapevi bene di dover fare i conti con il suo approccio, diretto, laconico, spiazzante. Il mio primo incontro con lui fu in occasione del musical "Evviva!" proprio qui al Sistina. "Che voi canta'?" mi chiese. "La sai "Nun je da retta Roma"? Essendo cresciuto con Gigi Proietti ed essendo un suo cavallo di battaglia, risposi di sì. Arrivato all'acuto, feci appello a tutti i santi e tirai fuori tutta la voce che avevo. E lui: "Strillone! Nun strilla'" Io rimasi perplesso ma gli altri si complimentarono: "Gajardo! E' andata bene, non ti ha schiacchiato le dita dentro la tastiera del pianoforte". Da allora ho imparato ad apprezzarlo in tutto, ma soprattutto per l'approccio profondo che aveva con la musica che per lui era una cosa seria, una vera ragione di vita». Il legame con Trovajoli risuona anche nel ricordo di Armando Silverini, presenza storica fin dalle primissime edizioni nel ruolo del banditore. «Ricordo che per la seconda stagione del Rugantino, Trovajoli cercava un basso dalla grande estensione. Facemmo l'audizione a casa sua e dopo pochissimo mi fermò e mi disse, "Va bene, va bene, la parte è tua". Lui era uno di poche parole, duro, ma aveva una sua grande, ispida umanità. E ogni tanto veniva da noi cantanti e ci diceva: "Voi siete er core mio"». Sprazzi di pubblica umanità che rappresentavano un'eccezione per un burbero schivo come lui.
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