Cultura e Spettacoli

Carlo Conti: "Babbo è la parola che non ho mai detto, ora recupero con mio figlio"

Carlo Conti parla della sofferenza provata per non aver avuto un padre e racconta come la sua vita sia cambiata dopo la nascita del figlio Matteo

Carlo Conti: "Babbo è la parola che non ho mai detto, ora recupero con mio figlio"

Lo conosciamo come un conduttore educato e con il sorriso, ma Carlo Conti ha un rimpianto: non aver mai detto la parola “babbo” perché rimasto orfano di padre quando aveva solo 18 mesi.

A parlarne a cuore aperto è proprio il conduttore Rai che in una intervista al settimanale Oggi si è lasciato andare a questa sofferta confessione. “La parola che non ho mai detto in vita mia, babbo, perché il mio è mancato quando avevo 18 mesi, ora è quella che sento dire di più”, ha spiegato Carlo Conti, oggi papà del piccolo Matteo che non fa altro che chiamarlo, almeno “settemila volte al giorno”.

Ed è stato proprio l’arrivo del figlio Matteo, avuto dalla moglie Francesca Vaccaro cinque anni fa, ad aver rivoluzionato la vita di Conti portandolo ad invertire la scala delle priorità. “Fino a sette-otto anni fa, nella mia classifica c’ero io, poi veniva il lavoro, poi il resto – ha confessato il conduttore, pronto a ritornare in prima serata con La Corrida - . Ora, in cima a tutto c’è mio figlio, seguito dalla mia famiglia, poi arrivo io e solo dopo il lavoro”.

Il figlio di Carlo Conti è arrivato quando il conduttore era ormai maturo, ma è stata una scelta ponderata e della quale non si pente perché per circa dieci anni si è fatto travolgere dal lavoro e non avrebbe saputo seguire Matteo come riesce adesso. "Non rimpiango di averlo avuto tardi: a 30-40 anni ero molto preso da me, non avrei saputo fare il padre come lo sto facendo", ha detto.

Infine, Carlo Conti si è espresso sulle ultime polemiche che hanno riguardato i rapporti tra la televisione e la politica.

Qualunque sia il governo, l’intrattenimento rimane intrattenimento”, ha detto il conduttore, certo che solo recuperando la spensieratezza tipica della fanciullezza potremmo imparare a non prendere tutto sul serio.

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