Chailly: "Uno Chénier a ritmo elevatissimo"

Il direttore racconta come interpreterà l'opera di Umberto Giordano che inaugura la Scala

Chailly: "Uno Chénier a ritmo elevatissimo"

Andrea Chénier di Umberto Giordano è l'opera perfetta per una prima della Scala, per il via di stagione più noto che vi sia. Perché è «l'opera dei Milanesi», spiega Riccardo Chailly che nel ruolo di direttore musicale della Scala l'ha voluta fortemente ricordando che mancava da 32 anni. Anche nel 1985 e ancor prima nel 1982 fu lui a proporla, incidendola - nel frattempo - con Luciano Pavarotti nel ruolo del titolo. Per questa edizione, a vestire i panni del protagonista sarà il tenore quarantenne Yusif Eyvazov in coppia con la moglie, e diva, Anna Netrebko. Mario Martone cura la regia, «stiamo lavorando in sintonia», osserva Chailly rassicurato del fatto che il testo è rispettato scrupolosamente, «oggi tutti amano lo spostamento storico. Io non ho nulla in contrario se è in sintonia con il testo, ma qui il vincolo storico è inevitabile. Faremo un Settecento prosciugato, meno oleografico, ma l'epoca è quella». Rivoluzione francese, dunque, salva.

Chailly ha ripreso in mano la partitura ristudiandola dalla prima all'ultima battuta. «Sono ripartito da zero. Ho passato pomeriggi interi al pianoforte ad analizzare l'armonia di quest'opera. L'ho studiata verticalmente, non orizzontalmente. Le melodie le conosciamo tutti, e le amiamo, ma non conosciamo abbastanza il mondo armonico: d'una ricchezza e originalità che sbalordisce ancora adesso». Andrea Chénier non è opera muscolare, rimarca il direttore: «Verismo non è solo stamina vocale, che ci vuole, ma all'interno di un lavoro sulle dinamiche. Bisogna rendere il canto verista più elegante, più morbido, meno d'attacco. Funziona anche con la forza vocale, ma non è solo così». Farà altre opere di Umberto Giordano? «Il rapporto viscerale che ho con questa opera è unico. Ma non farò altro Giordano. Prediligo Chénier, gli altri titoli mi interessano, ma non li sento miei». E spiega che è rapito dal ritmo incalzante di questo melodramma, «dalla reattività musicale unica che richiede un'allerta musicale da parte di tutti. Per questa opera sento una passione spontanea, e mi sembra che parli benissimo il linguaggio di oggi. Certo: dipende come la si legge. Ci sono cose che possono rischiare lo sconfinamento nel cattivo gusto. Ma basta guardare la partitura. Alcuni ritmi sono fin troppo alti, talvolta Giordano dà velocità spericolate» e a quel punto Chailly tira un poco il freno.

Nel rispetto del ritmo serratissimo ha chiesto a Martone di dividere lo spettacolo in due grandi atti unendo i primi due quadri, intervallo, quindi terzo e quarto: «Io tengo fede a quanto scrisse Giordano: voleva questo». Ritmo da film d'azione.

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